Cinquanta sfumature di…Giallo di Napoli
La prima volta che appare il nome “Giallo di Napoli”, in riferimento ad un pigmento a base di piombo e antimonio, è nel 1738, a Londra.
Questo pigmento, però, ha origini molto più antiche: difatti, si tratta di un pigmento utilizzato in Egitto per colorare il vetro, differente dal similare giallorino (o giallolino), sia per chimica che per tonalità di giallo.
L’origine egizia del Giallo di Napoli lo ha anticamente fatto conoscere con il nome di Giallo Egiziano, ma successivamente la sua popolarità è rimasta legata alla città partenopea: scopriamone il motivo.
La Baia di Napoli, Oswald Achenbach (1827 – 1905) |
In seguito al suo enorme successo, la conoscenza di questo pigmento passa dall'Egitto al mondo islamico ed il contatto con i mercanti veneziani ne permette, molto probabilmente, la diffusione nel Mediterraneo. Una delle prime testimonianze certe del Giallo di Napoli si ha nel 1580, quando Mariani descrive dettagliatamente la produzione del “giallo di Vasari”, ovvero un pigmento a base di piombo e antimoniato.
È con l’impressionismo, tuttavia, che il giallo di Napoli conosce una popolarità senza precedenti: secondo Cézanne non era possibile dipingere senza il nero pece, la terra di Siena e il giallo di Napoli. Questo pigmento, quindi, si lega indissolubilmente alla città di Napoli, forse perché il suo colore richiama quello del tufo con cui erano costituiti numerosi edifici del centro storico della città.
- Chimica
Nel 1769, il chimico francese de Bondaroy scopre che il Giallo di Napoli è un pigmento artificiale, smentendo la credenza popolare che ne sosteneva l’origine vulcanica.
Il Giallo di Napoli è un pigmento a base di antimoniato di piombo (Pb2Sb2O7). Esiste un minerale naturale con questo chimismo, la bindheimite , il cui utilizzo è raramente attestato: si può dire, quindi, che il Giallo di Napoli è uno dei primi gialli sintetici realizzati ed utilizzati.
- Sintesi
L’esatta ricetta del Giallo di Napoli si è persa con il tempo, ma esso era generalmente realizzato calcinando parti di piombo e antimonio ricavati dai rispettivi minerali: ossidi di piombo (PbO), bianco di piombo (2PbCO3 Pb(OH)), antimoniato di potassio (KsbO3) e ossido di antimonio (Sb2O3). A questa miscela era aggiunto un terzo componente, probabilmente zinco o alluminio. È certo che il tempo di calcinazione, il rapporto tra gli ingredienti e la temperatura influissero sulla sfumatura di giallo ottenuta.
L’antimoniato di piombo è tossico, dunque il Giallo di Napoli attualmente non è più utilizzato ed è stato sostituito da miscele di giallo di cadmio o titanato di nichel.
- Stabilità e degrado
I pigmenti a base di piombo erano molto apprezzati perché favoriscono l’asciugatura della pellicola pittorica ed erano spesso aggiunti volontariamente dagli artisti. Anche il Giallo di Napoli, contenendo piombo, aveva questa proprietà. Ci sono pochi studi sperimentali che riguardano la stabilità e il degrado di questo pigmento, ma in generale si può dire che esso è particolarmente resistente alla luce e alle variazioni di temperatura. Può scurire in presenza di acido solfidrico, sempre a causa della presenza del piombo e subisce alterazione quando è in contatto con zolfo e ferro.
Il giallo di Napoli era molto apprezzato dai pittori perché permetteva una resa ottimale della luce calda del sole, diversa da quella ottenuta adoperando gli altri gialli che erano disponibili sul mercato . Grazie a questa tonalità di giallo, era possibile esaltare le cromie dei paesaggi, i contrasti e le armonie amati dagli artisti dell’epoca.
Francesca
Complimenti!!! Un articolo molto bello: documentato e chiaro!
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