Oltre alle croste nere c’è di più…
Vi siete mai chiesti durante una giornata di pioggia, magari, che cosa succede al nostro tanto amato e sofferto patrimonio culturale esposto all’azione degli agenti atmosferici e inquinanti?
Ma soprattutto, sapreste quantizzarne il danno?
Innanzitutto, è bene chiarire che quando si parla di edifici, statue e monumenti all’aperto, i materiali coinvolti sono o in pietra (marmo, calcari, arenarie, graniti, ecc…) o in metallo; mentre gli inquinanti principali sono rappresentati dai composti dello zolfo (in particolare l’anidride solforosa SO2), gli ossidi di azoto (NOx) e l’anidride carbonica (CO2). Tali inquinanti derivano da processi di combustione in ambito industriale e domestico, dal traffico veicolare e dai processi industriali.
L’interazione tra questi materiali e gli inquinanti atmosferici favorisce la formazione di sostanze che possono trasformare il substrato originale del manufatto danneggiandolo irreversibilmente.
Nel caso dei materiali lapidei a matrice carbonatica, come abbiamo già visto in un altro articolo, il carbonato di calcio (CaCO3) può reagire con l’acido solforico (H2SO4) e/o con l’acido nitrico (HNO3) formatisi in atmosfera, portando alla formazione di sali (gesso CaSO4 2H2O e nitrati di calcio (Ca(NO3)2) che possono cristallizzare in superficie sotto forma di efflorescenze saline, oppure penetrare nei pori provocando tensioni meccaniche fino alla disgregazione del materiale.
Nel caso, invece, dei metalli – su cui non ci soffermeremo oggi - si parla di corrosione atmosferica, definita come la “distruzione di un materiale causata dall’azione chimica od elettrochimica esercitata dall’ambiente circostante”.
Semplificando, i cambiamenti visibili sulle superfici lapidee micro e macroscopicamente riguardano la perdita di massa, a seguito dell’erosione, e l’alterazione del colore a causa dell’annerimento determinato dal deposito delle particelle carboniose sulla superficie del monumento.
Il tasso di erosione totale di un materiale esposto all'ambiente esterno si riflette nella sua dissoluzione chimica e nella disintegrazione granulare, che consiste nella perdita di granuli del materiale a causa delle forze meccaniche di gravità, vento, cicli termici ecc. La dissoluzione chimica spesso favorisce la disintegrazione granulare.
I tassi di erosione si possono stabilire misurando la recessione superficiale, la perdita di peso o il bilancio di massa della soluzione. La recessione superficiale è misurata in termini di spostamento di un punto sulla superficie corrente da un punto di riferimento che rappresenta la posizione originale della superficie. La perdita di massa, invece, è il metodo comunemente utilizzato per misurare la corrosione atmosferica dei metalli e consiste nel misurare la variazione di peso di campioni di materiale dopo l'esposizione all'atmosfera. Infine, il metodo del bilancio di massa consiste nel raccogliere l'acqua piovana che cade in superficie e contemporaneamente raccogliere il deflusso: la differenza chimica della soluzione è il risultato delle reazioni che avvengono con il materiale. L'entità dell'attacco è stimata dall'aumento della concentrazione di un catione caratteristico rappresentativo del materiale, ad esempio, Ca2+ nel caso delle rocce carbonatiche e Cu2+ per il bronzo.
Le tre misurazioni non sono confrontabili, poiché ciascuna ha una sua dimensione: distanza per la recessione superficiale, massa per la perdita di massa e concentrazione per il bilancio di massa.
Qualora non sia possibile misurare la corrosione/perdita di materiale sperimentalmente con misure in situ o in laboratorio, si possono usare dei modelli (funzioni dose-risposta) presenti in letteratura (Global climate change impact, 2007) in grado di valutare il danno di un materiale in base ai parametri meteorologici e alle concentrazioni degli inquinanti coinvolti nei processi di degradazione.
Per i materiali lapidei, una delle funzioni di danno più conosciute è quella di Lipfert (1989) che prende in considerazione l’effetto della pioggia, le componenti acide in essa disciolte e la deposizione di zolfo.
Per l’annerimento, invece, non sono state ancora messe a punto funzioni di danno specifiche per stimare gli effetti dell’inquinamento. L’indice di annerimento risulta genericamente funzione della concentrazione del particolato totale sospeso e della sua velocità di deposizione.
La velocità di annerimento delle superficie di materiali di differente natura esposti all’aperto può essere espressa in termini di perdita di riflettanza (R) e luminosità (L*), oppure come percentuale di superficie coperta per materiali opachi, o in termini di perdita di trasparenza e percentuale di superficie coperta per materiali trasparenti.
Tali studi hanno portato alla definizione di modelli che correlano l’annerimento dei materiali con le concentrazioni di particolato atmosferico, con la granulometria e il colore delle particelle rispetto a quello della superficie, la rugosità del materiale, le proprietà adesive e il posizionamento della superficie stessa (verticale/orizzontale), l’efficienza dei meccanismi di risospensione del vento e il dilavamento della pioggia.
In ogni caso, l’annerimento dei materiali, generalmente più intenso nelle aree urbane rispetto alle zone rurali, non è solo un degrado estetico e visivo ma anche strutturale.
Martina
Livingston, R. A. (2016). Acid rain attack on outdoor sculpture in perspective. Atmospheric Environment, 146, 332-345.
Bonanni, P., Daffinà, R., Gaddi, R., Giovagnoli, A., Silli, V., & Cirillo, M. (2006). L’impatto dell’inquinamento atmosferico sui beni di interesse storico-artistico esposti all’aperto. Report number: APAT.
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