News from Diagnostic World: l’approccio multianalitico può salvare l’arte contemporanea
Sia i Conservation Scientists che i restauratori hanno come scopo comune la salvaguardia e la tutela dei beni culturali e, per questo, cercano insieme di studiare e caratterizzare tutti i materiali di cui le opere d’arte sono composte. Se, però, per l’arte più tradizionale e “classica” le materie prime solitamente utilizzate sono state identificate in maniera univoca e, di conseguenza, sono state messe a punto le migliori metodologie possibili per la loro conservazione, per l’arte contemporanea la sfida è decisamente più ardua. Infatti, a causa delle molteplici tecniche adottate dagli artisti contemporanei, non è semplice campionare e caratterizzare i materiali di tali opere d’arte, che vanno dai prodotti di ultima generazione al cibo, passando per oggetti d’uso quotidiano e materiali sicuramente non pensati per il settore delle “belle arti”: ciò spesso rende impossibile la scelta di un piano di conservazione adeguato alla complessità dell’opera, con il rischio di una perdita rapida di beni culturali decisamente “giovani”.
A partire dal XX secolo, gli artisti hanno iniziato ad avvalersi di materiali polimerici, come la plastica, che possono subire, nonostante la loro fama di indistruttibilità, notevoli processi di degrado. Utilizzando come caso di studio l’opera “Teca con Frutta” (1967) di Massimo Zuppelli, un gruppo di ricercatori ha indagato sia i polimeri di sintesi che compongono i beni culturali contemporanei sia i loro fenomeni di degrado, applicando un approccio multianalitico e il meno invasivo possibile alla ricerca. Sfruttando le potenzialità di microscopia ottica, spettroscopia infrarossa, microscopia a scansione elettronica e calorimetria differenziale a scansione, i ricercatori hanno compreso quale sia il fattore scatenante del degrado dei polimeri di “Teca con Frutta”, ovvero l’ossidazione.Teca con frutta, Massimo Zuppelli, 1967. Tecnica mista Casa Museo Remo Brindisi, Comavcchio (FE) |
Il processo potrebbe, paradossalmente, iniziare già in fase di produzione in fabbrica, ben prima di essere messo in opera dall’artista. L’ossidazione provoca, nel tempo, non solo danni estetici come la perdita del colore, ma anche danni meccanici, con conseguente perdita di frammenti e, quindi, la disgregazione dell’opera. Inoltre, l’approccio multianalitico ha permesso di evidenziare come il deterioramento del polietilene sia stato causato anche da un attacco biologico, nello specifico fungino.
L’articolo, pubblicato su Microchemical Journal, è intitolato “A simple multi-analytical approach for the detection of oxidative and biological degradation of polymers in contemporary artworks” ed ha come scopo quello di dimostrare che ottenere informazioni scientifiche sui materiali dell’arte contemporanea è fondamentale per pianificare interventi di restauro mirati e decidere quali siano le condizioni di conservazione ottimali per ogni singola opera. Inoltre, lo studio dimostra come la diagnostica per i beni culturali non debba essere necessariamente invasiva e non sia legata solo a strumentazione di avanguardia: risultati rapidi e affidabili possono essere ottenuti anche mediante tecniche che, per un laboratorio scientifico, sono di routine.
Riferimenti bibliografici:
N. Macro, M. Ioele, M. Lazzari, A simple multi-analytical approach for the detection of oxidative and biological degradation of polymers in contemporary artworks, Microchemical Journal, Volume 157, 2020, 104919, ISSN 0026-265X, https://doi.org/10.1016/j.microc.2020.104919.
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