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L’archeobotanica come strumento per ricostruire il rapporto uomo-ambiente

Le piante non sono una novità nel mondo di Research for Cultural Heritage. Si è parlato del legno, di sostanze coloranti ottenute da piante come lo zafferano, di DNA antico e di paleo-diete ricostruite grazie allo studio degli isotopi stabili. Una branca di studio ancora qui inesplorata è, però, costituita dall’archeobotanica. 

Che cos’è l’archeobotanica?

Come suggerisce il nome stesso, l’archeobotanica è una branca della paleobotanica che studia i fossili vegetali rinvenuti in contesti archeologici. Attraverso questo tipo di analisi si possono ottenere informazioni riguardanti l’interazione degli uomini con le piante, il loro utilizzo (es. dieta, piante officinali, materiali da costruzione), l’ambiente del passato e il modo in cui questo è stato influenzato dall’uomo. 

Quali materiali vengono studiati?

I materiali studiati nell’ambito dell’archeobotanica possono essere suddivisi in base alle loro dimensioni. Distinguiamo infatti i macro-resti (es. semi, frutti, legno), visibili ad occhio nudo, i meso-resti (semi, cuticole), meglio osservabili attraverso l’ausilio di una lente di ingrandimento o di uno stereo-microscopio, ed i micro-resti (polline, fitoliti, granuli di amido), non visibili ad occhio nudo. 

 Come fanno a conservarsi così a lungo e ad arrivare fino a noi?

I resti vegetali possono sopravvivere per secoli, millenni o addirittura centinaia di migliaia di anni, in base alle loro caratteristiche intrinseche e all’ambiente di ritrovamento. Questo determina anche le modalità di fossilizzazione.
La più frequente modalità di fossilizzazione dei macro-resti nel bacino del Mediterraneo è la carbonizzazione, che consiste nella sostituzione la materia organica con il carbonio, mantenendo la forma originaria della pianta, ma rendendola allo stesso tempo resistente ai fattori di degrado. La carbonizzazione avviene attraverso una combustione incompleta del resto vegetale, dovuta alla presenza di focolari o fuochi spontanei. La disseccazione (o mummificazione) è molto meno comune, essendo limitata in Europa alle case a graticcio di epoca medievale e successiva. Tuttavia, le particolari condizioni ambientali riscontrate nel Nord Africa, caratterizzate da un'umidità molto bassa, consentono di trovare materiale vegetale non carbonizzato in una gamma molto più ampia di periodi e contesti. Inoltre, l’essiccazione permette anche la conservazione di parti più delicate delle piante come fiori e foglie.

Frutti di canapa e di grano tenero 
osservati allo stereo-microscopio.
Foto dell'autrice.














Tra le modalità di fossilizzazione diretta non possiamo dimenticare la sommersione – comune in pozzi e latrine – , il congelamento – riscontrabile nei ghiacciai – , e la mineralizzazione. Quest’ultima si verifica quando i minerali sostituiscono il materiale organico (semi, frutti o altre parti di piante), riproducendo, parzialmente o totalmente, la morfologia del resto originale. Questa situazione tende a verificarsi in contesti ad alta concentrazione di materiale organico (feci umane, ossa o altro scartato di resti organici), che forniscono una fonte di fosfato di calcio. La fossilizzazione per litificazione può anche essere indotta da silicati, gesso, carbonati o calcite. Infine, possiamo distinguere la metallizzazione, la quale avviene quando un resto vegetale entra in contatto prolungato con un oggetto metallico. 

Le modalità di fossilizzazione indirette includono invece le impronte (presenti, per esempio, sulla ceramica) e la compressione carboniosa

Infine, alcuni resti possono arrivare fino a noi grazie alla conservazione duripartica. Si tratta della conservazione di componenti vegetali in uno stato sostanzialmente inalterato dovuto alla resistenza all'ossidazione e al mutamento fisico di specifiche parti delle piante. Questi includono il polline, le spore e le cuticole. La sporopollenina, il principale costituente delle esine di spore e polline, è infatti resistente a un'ampia varietà di stress biotici e abiotici. Questa sostanza, tuttavia, decade in condizioni aerobiche. In minor modo, anche la cutina, la componente principale delle cuticole, ha una lunga resistenza in ambienti anaerobici.

Come vengono rinvenuti i resti vegetali?

Setacci impilati per effettuare una setacciatura
a secco. Foto dell'autrice. 

Conoscere e riconoscere le modalità di fossilizzazione è fondamentale per procedere ad un giusto trattamento e separazione dei materiali. Per esempio, i resti dessiccati sono molto suscettibili all’acqua. In questo caso sarà fondamentale setacciare a secco, svolgendo poi una separazione manuale utilizzando delle pinzette (anche detta “picking”). Al contrario, i resti sommersi rischierebbero di danneggiarsi nel caso venissero essiccati. Per questo sarà necessario provvedere ad una setacciatura con acqua e, di conseguenza, conservare i resti in acqua. 

 

Come vengono identificati i resti archeobotanici?

I resti così rinvenuti e separati possono essere identificati grazie alla loro forma, dimensioni e, in alcuni casi, al colore. Vengono osservati attraverso diversi tipi di microscopi ottici e confrontati con atlanti di riferimento. Altre fonti utili sono le fonti iconografiche, storiche e i ricettari. 

 





Mosaico dalla Casa del Fauno di Pompei conservato nel Museo Archeologico di Napoli, Italia. Sono raffigurate numerose piante, tra cui un melograno, delle pigne ed una spiga di grano. (Foto dell’autrice)


Vi è piaciuta questa introduzione all’archeobotanica? Vorreste vedere alcuni esempi? 

Continuate a seguirci per saperne di più!

moricca.claudia@outlook.com


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