L’alcol nell’arte: la fata verde
‘Fata verde’ è il nome con cui veniva chiamato l’assenzio, una bevanda alcolica molto in voga nel XIX secolo. Tra i bevitori di questo distillato si annoverano artisti del calibro di Toulouse-Lautrec, Edgar Degas, Manet e Van Gogh; ma anche bohémiens e poeti tra cui Baudelaire e Rimbaud, Wilde e Poe.
La ricerca di cui vi parliamo in questo articolo, parte dalle opere d’arte Dans un café o L’Absinthe di Edgar Degas (1876), La bevitrice d’assenzio (1901) di Pablo Picasso e I bevitori d’assenzio (1908) di Jean Béraud, che offrono uno spaccato della società della Belle Époque. Le tele riflettono l’epoca dell’assenzio e offrono un perfetto esempio di pittura di genere, riportando in forma pittorica eventi quotidiani.
Fig. 1 - Edgar Degas, Dans un café, 1876, olio su tela, 92 cm x 68,5 cm, Musée d’Orsay, Parigi, Francia. Copyright immagine: Musée d’Orsay. |
Le donne raffigurate sono colpite dagli effetti dell’assenzio; presentano uno sguardo vago e perso nel nulla. La bevitrice di Picasso, addirittura, si tiene stretta con una mano, come a proteggersi con un abbraccio che sembra dire ‘andrà tutto bene’, mentre lei pare colpita da un’allucinazione terribile. Si dice, infatti, che l’assenzio fosse un allucinogeno, una droga che ‘cambiava la vista del mondo’ (Bruni 2018:84).
Fig. 2 - Pablo Picasso, La bevitrice d’assenzio, 1901, olio su tela, 73 cm x 54 cm, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo, Russia. Copyright immagine: Museo dell’Ermitage. |
Si pensava che la pianta dalla quale viene distillato l’assenzio, l’artemisia absinthium, contenesse una sostanza stupefacente (Bruni 2018:84).
Non è un caso che queste opere rappresentino una donna. Infatti, a quell’epoca la réclame dell’assenzio si aprì alle donne, proponendo il liquore anche come bibita per signore, ampliandone così le possibilità di consumo (Bruni 2018:86). Furono inoltre pagati testimonial illustri tra le star dell’epoca e stampati manifesti degli illustratori più famosi. Ne è un esempio il poster Art Nouveau di Henri Privat-Livemont, che pubblicizza l’assenzio Robette.
Fig. 3 - Henri Privat-Lievmont, stampa del poster per Absinthe Robette, 1896.
Copyright immagine: Bibliothèque National de France. |
La storia narra che gli absinthes fossero partiti dalla Val-de-Travers nei pressi di Neuchâtel (in Svizzera) dove nel 1798 il dottor Pierre Ordinaire aveva registrato la ricetta per l’artemisisa absinthium con intenti curativi (Bruni 2018:86). Il tonico fu impiegato durante l’invasione francese in Algeria nel 1830, per curare i soldati malati di malaria e usato come profilassi contro la febbre (St. Klair 2017:217). La miscela fu poi ceduta alla liquoreria Pernod, nella vicina cittadina di Pontarlier (Bruni 2018:86). Nonostante l’artemisia absinthium fosse nata come medicinale, con il passare del tempo divenne la bevanda preferita dalla borghesia cittadina, con la quale aveva un appuntamento fisso all’ora dell’aperitivo, anche nota come l’heure verte (Bruni 2018:85), nei caratteristici cafés di Montmartre: era scoppiata la moda della Parigi da bere (Bruni 2018:87).
Il boom si ebbe nel XX secolo, tanto che nel 1913 pare che un bicchiere d’assenzio costasse meno del pane (Bruni 2018:87) e, addirittura, meno del vino, avendo un costo di 10 centimes (centesimi) (St. Klair 2017:217). Presto divenne un drink comune a tutta la popolazione, anche quella meno abbiente, e cominciò così ad essere considerata una bevanda da trasgressori, guadagnandosi l’epiteto di ‘maledetta’. L’abuso divenne cronico, i bevitori furono infatti considerati ‘a metà fra il creativo e il dissoluto’ e il liquore fu dichiarato illegale e messo al bando (Bruni 2018:86).
Gli effetti deleteri del consumo di assenzio furono raccolti sotto il termine di absintismo. Chi era affetto da questa malattia lamentava ‘un iniziale stato di benessere seguito da alterazioni dello stato di coscienza e da una fase depressiva, con possibile delirio epilettiforme, allucinazioni acustiche e visive prolungate’ (Bruni 2018:88). Come già affrontato nell’articolo ‘Una folle storia dell’arte’, questi sintomi richiamano quelli descritti da Van Gogh durante le sue terribili crisi. È possibile che, tra i vari fattori, il prolungato consumo di assenzio da parte del pittore sia stato una delle cause scatenanti della sua malattia. La dottoressa Margaret Ochocki spiega che l’artista ne bevesse in gran quantità, a volte addirittura in sostituzione dei pasti (Pollock 1980:74).
Quarant’anni prima della Belle Époque, il medico V. Magnan aveva descritto gli effetti allucinogeni e di alterazione causati dalla bevanda; difatti, l’olio essenziale di artemisia absinthium e i due principi attivi dell’aroma, ovvero alpha- e beta-thujone, sembravano causare deliri epilettiformi molto simili a quelli dell’absintismo (Bruni 2018:90). Era troppo presto, storicamente parlando, per capire se i disturbi fossero provocati dalla pianta o piuttosto dall’alta dose di alcol etilico contenuto nella bevanda. Comunque sia, i proibizionisti ebbero la meglio, ottenendo la messa al bando del distillato nei primi decenni del Novecento (Bruni 2018:90). Oggi la vendita nell’Unione Europea è permessa, a patto che si rispetti il contenuto massimo in thujoni di 35mg/l, dose considerata non rischiosa per la salute (Bruni 2018:93). Ormai non si parla più di sintomi allucinatori o di absintismo, dunque è davvero poco probabile che gli effetti tossici siano correlabili al contenuto di thujoni della ricetta tradizionale. Infatti, secondo studi effettuati nel 2008 su bottiglie perfettamente conservate del distillato risalenti al 1915, è stato osservato che le dosi erano effettivamente molto simili all’assenzio odierno; anzi, per la precisione, erano al di sotto del limite attuale di 35 mg/l (Bruni 2018:93). Per mostrare i sintomi di tossicità, si dovrebbero assumere ben sei litri di liquore in una volta (Bruni 2018:93)! A questo punto però, è evidente che la sostanza realmente tossica della bevanda è l’etanolo, molto più che i thujoni (Bruni 2018:94). È dunque improbabile che il colpevole di deliri e malessere fosse davvero l’assenzio. Vero è che i thujoni interferiscono con il sistema nervoso, provocando per l’appunto convulsioni, ma solo quando ‘si superano di gran lunga delle precise quantità, per nulla compatibili con il consumo del liquore’ (Bruni 2018:94).
È lo sguardo perso, la solitudine e il senso di vuoto negli occhi delle tre donne raffigurate a spiccare nei dipinti citati all’inizio di questo articolo. Probabilmente, quindi, il grave problema della società della Belle Époque era l’alcolismo, molto più che l’absintismo.
Fig. 4 - Jean Béraud, I bevitori d’assenzio, 1908, olio su tavola, 45,7 cm x 36,8 cm, collezione privata. Copyright immagine: Wikiart. |
Bibliografia
- Bruni, R. 2018. ‘Capitolo 7- La Parigi da bere’ in Mirabilia. La botanica nascosta nell’arte. Torino, Codice edizioni, pp. 83-95;
- Lachenmeier, D., Nathan-Maister, D., Breaux, T., Sohnius, E., Schoeberl, K., Kuballa, T. (2008). Chemical composition of vintage preban absinthe with special reference to thujone, fenchone, pinocampohone, methanol, copper, and antimony concentrations, in ‘Journal of Agricultural and Food Chemistry’, 56, pp. 3073-3081;
- Pollock, G. 1980. Artist, Mythologies and Media – Genius, Madness and Art History, Screen, Vol. 21, Issue 3, p. 57-96 - DOI;
Meraviglioso degno di te
RispondiEliminaDavvero un articolo interessante. Il collegamento tra l’alcol, la società dell’epoca e la sua rappresentazione artistica mi è piaciuto molto. Quei volti assorti e assenti sono cosi affascinati ma nascondono storie di cui non sappiamo abbastanza. Non ne sapevo molto neanche riguardo all’assenzio, fino ad adesso... 🙂
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