Oggi vi portiamo nell’America latina più profonda, in Africa fino a giungere in Antartide, attraverso le splendide fotografie in bianco e nero del grande Sebastião Salgado nel film-documentario “Il sale della terra”(2014).
Credit: Getty images/Thomas Lohnes |
Questa è la sua storia e la storia delle popolazioni indigene più povere e malfamate del pianeta, ma è anche la storia delle iguane, dei leoni marini e della natura circostante. È la storia raccontata dalla sua stessa voce, da quella del figlio Juliano e di Wim Wenders, registi del film: un fitto intreccio di punti di vista diversi, come diversi sono gli scatti dei fotografi che, con i loro obiettivi, catturano aspetti differenti della stessa realtà.
Sebastião Salgado nasce ad Aimorés nel 1944, nel cuore del Brasile, la più grande zona mineraria del pianeta, un enorme formicaio dove brulicano migliaia di essere umani alla ricerca dell’oro. Laureatosi in economia, intraprende una promettente e ben pagata carriera che abbandona per seguire, insieme alla moglie, la sua grande vocazione: la
fotografia. In particolare, ciò che interessa davvero a Salgado è l’uomo, il “sale della terra”. E così si fa testimone della violenza e della brutalità dell’essere umano verso il suo prossimo, e vergognandosene, se ne ammala nell’animo. Allo stesso tempo, con la sua arte, si fa anche portatore della bellezza del Creato, con tutte le sue specie animali e le terre più desolate. Gli occhi velati e spalancati di chi ha fame ed è prossimo al buio eterno, impressionano lo spettatore, come il flash di una macchina fotografica.
Questo film è un’esplorazione del mondo, un percorso nella conoscenza e nella storia - tra genocidi, carestie e guerre - una “discesa nelle tenebre” con una risalita a colori, piena di speranza, rappresentata dalla grande empatia e umanità di Sebastião, che ha ha portato alla nascita del progetto “
Instituto Terra”, dando il via alla riforestazione del Brasile.
Martina
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