Le lacche ed il loro degrado
Utilizzate in Europa occidentale a partire dal XII secolo circa, le lacche sono state impiegate a lungo, divenendo indispensabili nelle palette di molti artisti. Esse hanno proprietà intermedie tra quelle dei pigmenti e quelle dei coloranti: risultano, infatti, insolubili come i primi, ma caratterizzate dalla stessa trasparenza dei secondi.
La loro formazione è dovuta al processo di assorbimento o precipitazione di un colorante su un supportante che permette di ottenere una coprenza più o meno accentuata.
I coloranti utilizzati possono essere di origine animale (come la lacca carminio, derivante dal Coccus cacti, o la lacca indiana, ottenuta dalla Kerria lacca), vegetale (generalmente preparati a partire dal legno, radici o ceneri di piante immersi in acqua o in una soluzione alcalina), o sintetica (come l’alizarina cremisi, usata a partire dalla seconda metà del XIX secolo in sostituzione della lacca di robbia). Essi talvolta venivano anche estratti da stoffe colorate di scarto attraverso l’uso di soluzioni alcaline, così come risulta evidente dalla definizione di lacca fine riportata nel Vocabolario Toscano dell'Arte del Disegno dell’artista seicentesco Filippo Baldinucci (“una sorta di colore per dipingere ad olio, che fa un rosso scuro maraviglioso: cavasi questo artificiosamente dai panni chermisi con allume di rocca, e si conduce a diverse bontà e perfezzioni”).
Tra i supportanti più utilizzati vi era il gel traslucido di idrossido di alluminio (Al(OH)3), con il quale era possibile ottenere degli “impasti” con consistenza simile a quella dei pigmenti inorganici. Altre ricette riportano, invece, l’uso di sali di bario e carbonato di calcio (ricavato ad esempio da polvere di marmo, gusci d’uovo e ossi di seppia): in questo caso si otteneva una lacca con un potere coprente inferiore. Ancora, le lacche potevano essere prodotte utilizzando inerti di natura minerale come solfato di bario (BaSO4), ossido di Alluminio (Al2O3), silice, creta, terre argillose, gesso e caolino, i quali riescono ad adsorbire meccanicamente i coloranti e sono in grado di conferire un potere coprente maggiore rispetto alle lacche ottenute con idrossido di alluminio, ma comunque inferiore ai pigmenti di natura inorganica.
Disperse in notevoli quantità di medium, le lacche potevano essere impiegate assieme a pigmenti inorganici o singolarmente per conferire maggiore profondità e trasparenza al film pittorico sottostante.
Figura 1 - Acido carminico: glucoside antrachinonico di colore rosso estratto dalla cocciniglia. Credits: https://it.wikipedia.org/wiki/Acido_carminico |
Particolarmente ricca di lacche era la tavolozza del pittore olandese Johannes Vermeer (1632-1675), le cui opere descrivono spesso scene domestiche in cui la vera protagonista è la luce. Gli studiosi hanno messo in evidenza l’utilizzo di lacche rosse e gialle, adoperate dall’artista di Delft per le velature finali o mescolate a pigmenti di natura inorganica.
Figura 2 - Luteolina: flavone estratto da varie specie vegetali come timo, tarassaco e salvia. Credits: https://it.wikipedia.org/wiki/Luteolina |
Figura 3 - Johannes Vermeer, Donna seduta alla spinetta, 1670-72, olio su tela, 51,5x45,5 cm, Londra, National Gallery. Credits: https://upload.wikimedia.org/ |
Figura 4 - Particolare della gonna di Donna seduta alla spinetta, Johannes Vermeer.
Credits: https://www.nationalgallery.org.uk/research |
Figura 5 - Spettro EDX che mette in evidenza la presenza di calcio in corrispondenza della gonna gialla. Credits: https://www.nationalgallery.org.uk/research |
Figura 6 - Particolare dell'Incoronazione della Vergine, Lorenzo Monaco, 1407-09, tempera su tavola, 220,5x115,2 cm, Londra, National Gallery. Credits: https://www.nationalgallery.org.uk |
Drastiche variazioni dei colori originari sono visibili nell’Incoronazione della Vergine di Lorenzo Monaco, oggi conservata presso la National Gallery di Londra. Nella pala d’altare del monaco camaldolese, le vesti della Madonna, un tempo color malva, oggi risultano quasi del tutto bianche: il colore originale si è preservato soltanto in corrispondenza delle rosette realizzate con la foglia d’oro, al di sotto delle quali è stato possibile osservare l’impiego di una lacca rossa mescolata a bianco di piombo e all’oltremare naturale (lapislazzuli). Le analisi condotte hanno messo in evidenza l’uso di lacca indiana (ottenuta dalla secrezione resinosa della Kerria lacca) fatta precipitare su allumina idrata, come rilevato dall’analisi EDS, la quale ha confermato l’impiego di alluminio per il substrato. Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi secondo cui l’alterazione della lacca indiana, già suscettibile alla luce, possa essere stata accelerata dalla presenza del bianco di piombo.
Una sorte simile è toccata anche a diverse opere di Vincent Van Gogh, che cercava di scongiurare la precarietà di alcuni pigmenti con pennellate molto corpose, tipiche dei suoi dipinti. Per molti di questi, l’alterazione cromatica, dovuta a cattive condizioni espositive, non risulta subito evidente. È lo stesso pittore olandese a darne testimonianza in alcune sue lettere: i fiori del “Campo di iris e veduta di Arles” (1888), ad esempio, oggi di colore blu, vengono descritti da Van Gogh come viola. La conferma sulla variazione tonale è stata ottenuta dai ricercatori grazie all’identificazione tramite Macro XRF (X-Ray Fluorescence Spectroscopy) di atomi di bromo, caratterizzanti il colorante artificiale rosso noto col nome di eosina.
Figura 7 - Vincent Van Gogh, Campo di iris e veduta di Arles, 1888, olio su tela, 54x65 cm, Amsterdam, Van Gogh Museum. Credits: https://cen.acs.org/articles/94/i5/Van-Goghs-Fading-Colors-Inspire.html |
Figura 8 - Molecola di eosina Y, distinguibile dall'eosina B per la presenza di quattro atomi di bromo. |
Grazie ad un attento studio di questo fenomeno di degrado, lo staff del Van Gogh Museum è riuscito a riottenere tramite un restauro digitale nuovamente le tonalità originarie del dipinto “La camera dell’artista” (1889), ripristinando virtualmente le pareti viola, ormai divenute blu per l’alterazione della lacca carminio, ed il pavimento che ha perso la sua sfumatura rossastra a causa del degrado della lacca a base di eosina.
Figura 9a - Vincent Van Gogh, La camera dell'artista ad Arles,1888, olio su tela, 72x90 cm, Amsterdam, Van Gogh Museum; Figura 9b- ricostruzione dei colori originari del dipinto effettuata tramite restauro digitale. Credits: https://cen.acs.org/articles/94/i5/Van-Goghs-Fading-Colors-Inspire.html |
Bibliografia
• F. Baldinucci, Vocabolario toscano dell’arte del disegno, Firenze, 1681;
• A. Burnstock, The Fading of the Virgin's Robe in Lorenzo Monaco's "Coronation of the Virgin", National Gallery Technical Bulletin Vol. 12, pp 58–65, 1988;
• L. Campanella, A. Casoli, M.P. Colombini, R. Marini Bettolo, M. Matteini, L.M. Migneco, A. Montenero, L. Nodari, C. Piccioli, M. Plossi Zappalà, G. Portalone, U. Russo, M.P. Sammartino, Chimica per l’arte, Bologna, Zanichelli, 2011;
• C. Giannini (a cura di), Dizionario del restauro. Tecniche diagnostica conservazione, Firenze, Nardini Editore, 2010;
• J. Kirby, M. Spring., C. Higgitt, The Technology of Red Lake Pigment Manufacture: Study of the Dyestuff Substrate, National Gallery Technical Bulletin Vol. 26, pp 71–87, 2005;
• M. Matteini, A. Moles, La chimica nel restauro. I materiali dell’arte pittorica, Firenze, Nardini editore, 2010;
• D. Saunders, J. Kirby, Light-induced Colour Changes in Red and Yellow Lake Pigments, National Gallery Technical Bulletin Vol. 15, pp 79–97, 1994;
• T. T. Schaeffer, Effects of Light on Materials in Collections: Data on Photoflash and Related Sources, Los Angeles, Getty Publications, 2001;
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