In questo articolo parleremo di
DNA antico e di come questo strumento venga utilizzato per indagare i misteri del passato. Parleremo non solo di DNA antico animale ma anche di quello delle piante, dei funghi e di tanti altri organismi viventi come i
batteri e gli archeobatteri che vivono e proliferano sulla terra e …sulle nostre opere d’arte.
Che cosa si intende per DNA ‘antico’? - La risposta sembra ovvia, ma non lo è, perché il termine antico non è tanto riferito all’età delle molecole di DNA che può variare molto nel tempo, quanto invece al loro grado di deterioramento che varia a seconda delle condizioni ambientali in cui si sono conservate. Il DNA è considerato antico sia che provenga da organismi estinti vissuti in periodi lontanissimi (ma meno di un milione di anni fa), sia che provenga da organismi appena deceduti o addirittura ancora vivi, come il DNA isolato dalle feci di animali monitorati per scopi di conservazione, o il DNA dei microrganismi presenti su specie museali, antichi manoscritti e affreschi.
Ma cosa caratterizza molecole di DNA di età così diversa? - Sulle proprietà chimiche e biologiche del DNA antico si potrebbe dire molto, ma qui riportiamo solo tre importanti caratteristiche (o danni) che lo contraddistinguono da quello moderno.
Il primo danno a cui va incontro il DNA antico è la frammentazione dovuta a processi di idrolisi post-mortem che lo riducono in poco tempo in frammenti molto corti, spesso non più lunghi di 100 paia di basi azotate.
Sempre a causa di processi post-mortem, ma di tipo ossidativo, il DNA antico presenta una seconda alterazione che modifica la sequenza originale delle sue basi quattro azotate (ATCG) con un pattern preciso e riconoscibile: alcune Citosine si trasformano in Timine (C >T) e alcune Guanine si trasformano in Adenine (G >A).
Infine il DNA antico è presente in piccolissime quantità; cioè, a causa delle frammentazioni e dei continui danneggiamenti, gli scienziati riescono ad estrarne solo delle piccolissime quantità dai tessuti e dai materiali antichi.
Problemi di contaminazione - È facile a questo punto capire come queste piccolissime quantità di DNA danneggiato e frammentato siano soggette a contaminazioni continue da parte delle abbondanti e intatte molecole di DNA moderno sempre presenti negli ambienti in cui si lavora (nell’aria, sulle nostre mani e sui nostri vestiti). Ed è proprio al fine di evitare queste contaminazioni che le condizioni di laboratorio necessarie per la ricerca sul DNA antico devono essere il più possibili sterili e sono molto più rigorose rispetto a quelle impiegate in altri settori della biologia molecolare.
I laboratori di DNA antico debbono essere fisicamente isolati da quelli dove si amplifica il DNA moderno (spesso in edifici separati), dotati di camere spogliatoio isolate dove cambiarsi con indumenti sterili, di sistemi particolari di ventilazione e di lampade a raggi ultravioletti per l’irradiamento notturno. Uno scienziato che lavora in un laboratorio di DNA antico ha inoltre l’obbligo di indossare tute, maschere e guanti sterili mentre lavora e si muove facendo attenzione a mantenere l’ambiente e gli strumenti sempre sterili.
La giovane storia del DNA antico - La ricerca sul DNA antico è iniziata a metà degli anni '80 in seguito allo sviluppo della tecnica della reazione a catena della polimerasi (PCR - polymerase chain reaction), un metodo ora ampiamente utilizzato in biologia molecolare per creare molte copie di uno specifico segmento di DNA per poi poterlo più facilmente sequenziare. I primi studi suggerivano che il periodo di tempo coperto dalle indagini era vastissimo (molti milioni di anni), ma già allora ci furono polemiche sull'autenticità dei primi risultati che vennero poi definiti "antidiluviani". In seguito alcuni di questi studi si dimostrarono in effetti non autentici, cioè dovuti a contaminazioni di diversa origine. Si capì che proprio a causa del suo straordinario potere di moltiplicazione la PCR tendeva a lavorare anche sulle tracce infinitesimali del DNA moderno che era presente nell’ambiente di lavoro.
Il mito di Jurassic Park inizia negli anni ’80 - I primi studi che riportarono l'estrazione e l'amplificazione di DNA antico arrivarono nel 1984 quando un gruppo di ricercatori americani riuscì a isolare un frammento di DNA da un muscolo essiccato di quagga, una specie della famiglia dei cavalli andata estinta nell’Ottocento [1]. Nello stesso anno lo svedese Svante Pääbo trovò che anche i tessuti di un'antica mummia egizia contenevano DNA amplificabile [2]. Gli studi successivi utilizzarono materiale vegetale ritrovato nei letti fossili di Clarkia, sedimenti lacustri risalenti addirittura al Miocene inferiore (circa 15 milioni di anni fa). Il primo rapporto da Clarkia risale al 1990 e descrive le sequenze di DNA recuperate dalle foglie di una specie di Magnolia apparentemente in ottimo stato di conservazione [3]. Due anni dopo, un secondo tentativo su campioni simili ma di cipresso sembrò supportare gli studi precedenti [4]. Queste ricerche pionieristiche però furono eseguite senza adeguati controlli, e i tentativi successivi produssero risultati contrastanti suggerendo il coinvolgimento di contaminazione correlata alla PCR [5].
Tuttavia, gli studi degli anni '90 sembravano aver rotto una barriera temporale considerata prima invalicabile e i ricercatori rivolsero quindi la loro attenzione a creature più carismatiche come i dinosauri [6], insetti intrappolati nell’ambra [7,8], mammut [9] e infine gli esseri umani. Il primo lavoro sul DNA dell’uomo di Neanderthal fu pubblicato nel 1997 [10].
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Resurrezione, Piero della Francesca, 1450-63, affresco, Museo Civico di Sansepolcro (AR).
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Tecnologie di sequenziamento ad alto rendimento - Oggi si riconoscono gli errori del passato e la ricerca si è indirizzata su binari più sicuri ed è possibile monitorare, minimizzare e riconoscere le contaminazioni da DNA esogeno. Ciò che inoltre ha cambiato in maniera significativa l'ambito della ricerca del DNA antico nell'ultimo decennio è stato lo sviluppo di tecnologie di sequenziamento ad alto rendimento più rapide ed efficienti (high throughput sequencing - HTS) che richiedono piccolissime quantità di DNA iniziale e aumentano fortemente il volume del rendimento [11-12]. Ciò ha consentito il sequenziamento di interi genomi di un numero crescente di specie animali anche estinte.
Ultimatamente si sono anche aperte le porte allo studio di reperti archeologi ed alle opere d’arte, avvicinando per la prima volta il mondo della ricerca a quello umanistico e culturale con un approccio veramente interdisciplinare.
Ma di tutto questo vi parlerò nella puntata intitolata: Scoprire l’arte attraverso il DNA.
Bibliografia
1. Higuchi, R.; Bowman, B.; Freiberger, M.; Ryder, O.; Wilson, A. DNA sequences from the quagga, an extinct member of the horse family. Nature 1984, 312, 282–284.
2. Pääbo, S. Molecular cloning of Ancient Egyptian mummy DNA. Nature 1984, 314, 644–645.
3. Golenberg, E.; Giannasi, D.; Clegg, M.; Smiley, C.; Durbin, M.; Henderson, D.; Zurawski, G. Chloroplast DNA sequence from a Miocene Magnolia species. Nature 1990, 344, 656–658.
4. Soltis, P.S.; Soltis, D.E.; Smiley, C.J. An rbcL sequence from a Miocene Taxodium (Bald cypress). Proc. Natl. Acad. Sci. USA 1992, 89, 449–451.
5. Sidow, A.; Wilson, A.C.; Pääbo, S. Bacterial DNA in Clarkia fossils. Phil. Trans. R. Soc. B 1991, 333, 429–433.
6. Woodward, S.; Weyand, N.J.; Bunnel, M. DNA sequence from Cretaceous period bone fragments. Science 1994, 266, 1229–1229.
7. Cano, R.J.; Poinar, H.N.; Pieniazek, N.J.; Acra, A.; Poinar, G.O. Amplification and sequencing of DNA from a 120-135-million-year-old weevil. Nature 1993, 363, 536–538.
8. Gutiérrez, G.; Marín, A. The most ancient DNA recovered from an amber-preserved specimen may not be as ancient as it seems. Mol. Biol. Evol. 1998, 15, 926–929.
9. Palkopoulou, E.; Mallick, S.; Skoglund, P.; Enk, J.; Rohland, N.; Li, H.; Omrak, A.; Vartanyan, S.; Poinar, H.; Gotherstrom, A.; et al. Complete genomes reveal signatures of demographic and genetic declines in the woolly mammoth. Curr. Biol. 2015, 25, 1395–1400.
10. Krings, M., Stone, A., Schmitz, R., Krainitzki, H., Stoneking, M., Pääbo, S. Neandertal DNA Sequences and the Origin of Modern Humans. Cell 1997, 90 (1), 19-30.
11. Margulies, M.; Egholm, M.; Altman, W.E.; Attiya, S.; Bader, J.S.; Bemben, L.A.; Berka, J.; Braverman, M.S.; Chen, Y.-J.; Chen, Z.; et al. Genome sequencing in microfabricated high-density picolitre reactors. Nature 2005, 437, 376–380.
12. Bentley, D.R.; Balasubramanian, S.; Swerdlow, H.P.; Smith, G.P.; Milton, J.; Brown, C.G.; Hall, K.P.; Evers, D.J.; Barnes, C.L.; Bignell, H.R.; et al. Accurate whole human genome sequencing using reversible terminator chemistry. Nature 2008, 456, 53–59.
Sembra semplice tanto è chiaro e asciutto
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