Storie dell’arte: un breve sguardo sulle contaminazioni metodologiche
L’esigenza di inserire la produzione artistica all’interno di una narrazione storica coerente affonda le proprie radici nel Rinascimento. Pur sottintendendo lo stile e la tecnica quali elementi cardine di analisi e interpretazione delle personalità artistiche, la cultura umanistica ha posto in auge il noto dilemma estetico dell’individuazione e distinzione dell’idea rispetto al momento realizzativo, in sintonia con il revival neoplatonico seguito a secoli di dualismo aristotelico.
D’altra parte, nel clima rinascimentale si accresce la cognizione del valore del patrimonio artistico, per lo più di quello antico, e della necessità di conservarlo per trasmetterlo ai posteri. A questo fine, proprio le competenze di carattere tecnico degli artisti furono ritenute indispensabili per sovrintendere e governare le Belle Arti.1
Sarà la rivoluzione illuminista, da Diderot a Kant, a sancire la riqualificazione intellettuale delle arti meccaniche: nelle arti figurative, il compimento dell’intuizione estetica risiede nella fisicità fenomenica del manufatto, in virtù della quale l’oggetto artistico è materia di un concetto e, dunque, soggetto alle leggi del tempo.2
La seconda metà del Settecento vede fiorire la moderna storiografia artistica, la figura del conoscitore, un concetto di tutela sempre più accurato e la nascita del museo come luogo di tesaurizzazione e protezione dei manufatti. In questo contesto si fa strada la consapevolezza che il pensiero scientifico possa costituire un valido supporto allo studio del patrimonio, alla sua comprensione e conservazione, sia dal punto di vista metodologico, sia propriamente strumentale. Già il Lanzi poneva le analisi chimiche tra i possibili metodi di indagine e datazione delle opere d’arte per valutarne lo stato di conservazione e incrementare la conoscenza delle tecniche esecutive.3 Così, sin dai primi decenni dell’Ottocento, l’attenzione si orientava verso problemi cronologici e di provenienza per formulare attribuzioni, svelare opere pesantemente restaurate e individuare le eventuali contraffazioni.
Per contro, a distanza di un secolo, il pensiero storiografico mitteleuropeo, intriso di positivismo naturalistico, affermava che: “la specificità della storia artistica è in sostanza l’analisi delle forme e dello stile di una determinata epoca” e che, in quanto scienza storica autonoma, essa debba essere “svincolata dall’indebita ingerenza delle altre scienze che, con intenti diversi, si occupano anch’esse dell’arte.”4 La ricerca di una dignità disciplinare perseguita nell’ottica neo-idealista, giungeva al suo culmine con l’estetica crociana che, facendo appello alla dimensione puramente visiva e stilistica, perorava l’esclusione delle fonti documentarie e dei valori tecnici e scientifici dallo studio della storia dell’arte.
Nel corso nel Novecento si sono succedute iniziative, ricerche e collaborazioni tra fisici, chimici e realtà museali ed è venuta consolidandosi la figura del restauratore, a lungo circondata da un’aura di ambiguità dovuta alla conoscenza delle antiche pratiche di bottega e alla disponibilità di supporti d’epoca potenzialmente utili alla falsificazione.
Nel difficile dialogo tra storici, connoisseurship, scienziati e artisti, ciascuno rivendicava dogmaticamente il primato del proprio metodo. In particolar modo, gli studiosi vicini al purovisibilismo5 ridimensionavano fortemente il valore delle indagini di laboratorio, sottovalutando il contributo offerto, sin dall’inizio del Novecento, a problematiche nodali quali la distinzione tra copia e originale, il giudizio attributivo e l’inquadramento cronologico dei grandi maestri. In sostanza, bisogna considerare come l’approccio analitico allo studio delle opere d’arte, l’incredibile mole di dati di cui occorrerebbe disporre e il dialogo tra settori della cultura a lungo considerati antagonisti, costituiscano da sempre un insieme di criticità che spiega la difficoltà con la quale l’apporto delle scienze esatte è divenuto parte del metodo storico artistico.6
Il secondo dopoguerra apriva sistematicamente la disciplina ai nuovi approcci interpretativi introdotti a inizio secolo dal metodo iconologico7, facendovi confluire molteplici aree del sapere come la storia sociale, la sociologia, la semiotica. Nel 1979, Ginzburg coglieva una familiarità di metodo tra diversi campi del pensiero, tutti similmente volti a decifrare e a interpretare l’esistente, senza escluderne aprioristicamente alcun elemento costitutivo.8
I tempi erano maturi per la codifica di quella che gli anglosassoni definiscono Technical Art History, la quale: “conserva gli obiettivi della connoisseurship tradizionale, vale a dire lo studio delle qualità dell’oggetto, investigandole con altri strumenti” e “si pone come metodologia storico-artistica in grado di offrire quel ritorno all’oggetto, individuato da molti studiosi come strategia di uscita dalla frammentazione della New Art History.”9 Giovanni Romano ha ravvisato nel procedimento attributivo un insieme di operazioni che, a partire dal documento figurativo, producono e sviluppano “una catena organica di documenti simili e integrantisi, il cui significato di insieme è l’obiettivo della ricerca.”10
Per sua croce e delizia, la storia dell’arte è un crocevia di campi del sapere. L’identificazione dei materiali e il loro impiego, il modus operandi di un artista, scuola o area geografica, la possibilità di valutare l’autenticità di un’opera, di monitorarne lo stato di salute e scriverne la storia conservativa sono elementi e pratiche delle quali né la storia, né l’intero sistema dell’arte possono fare a meno. Scrive Paolo Bensi: “Al di là delle espressioni, per così dire, ‘corporative’, i contrasti sussistono e vanno attentamente valutati: è necessario trovare dei momenti di confronto tra le parti e cercare di capire insieme perché in alcuni casi i dati analitici e i dati storico-critici divergono, piuttosto che chiudersi in una contrapposizione dei rispettivi saperi.”11
Dalle prime indagini stratigrafiche sino alle tecnologie per metodiche non distruttive, la scienza ha compiuto molta strada, contribuendo in modo sostanziale a illuminare di nuova luce i fatti grandi e meno grandi della storia dell’arte. Prima ancora di addentrarsi nel regno dell’invisibile, si ritiene di poter affermare che un approccio propriamente “diagnostico” è insito nell’oscillazione dello sguardo12 e si compie osservando l’opera nella sua interezza, muovendosi intorno ad essa, avvicinandosi, allontanandosi, mutando le condizioni luminose e lasciandosi sempre interrogare dal suo essere, al contempo, componimento estetico e sostanza materica. In fondo, “come qualsiasi scienziato, lo storico è un animale che si chiede continuamente: perché?”13
1 Con la nomina di Raffaello a Prefetto della Fabbrica di San Pietro (1515), Leone X sancisce la nascita del protezionismo culturale, scoraggiando il reimpiego di marmi antichi nelle nuove fondazioni. M. B. Mirri, Per una storia della tutela del patrimonio culturale, Ed. Sette Città, Viterbo 2009, pp. 20-21.
2 Si veda la voce Arte dell’“Encyclopédie” di D. Diderot e J.B. D’Alembert, 1751. In merito al pensiero kantiano, in N. Abbagnano (a cura di) voce Oggetto, “Dizionario di Filosofia”, Gruppo Editoriale L’Espresso, Bergamo 2006, vol. XI, p. 775, si fa riferimento alla Critica della Ragion Pura, “Analitica dei Princìpi”, cap. III e alla Critica della Ragion Pratica, I, Libro I, cap. 2.
3 L. A. Lanzi, Storia pittorica d’Italia, Bassano 1789.
4 G. C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento, UTET, Torino 2006, p. 25.
5 Purovisibilismo: la declinazione purovosibilista del pensiero filologico-formale è di stampo neo-idealista e ritiene che l’arte sia un’attività spirituale da analizzare essenzialmente in base a schemi di tipo formale (definiti “astratti” dalla critica successiva) per descrivere e classificare le immagini nel corso della storia.
6 S. Rinaldi, L’antica collaborazione tra scienziati e critici d’arte e problemi di identificazione dei materiali. I falsi Botticelli di U. Giunti in “Vero e falso nelle opere d’arte e nei materiali storici: il ruolo dell’archeometria.” Contributi del Centro Linceo Interdisciplinare “Beniamino Segre” n.118, Bardi Editore, Roma 2008, p. 106.
7 “Nel primo decennio del secolo si afferma in Germania una nuova tendenza critica rivolta a studiare i fenomeni non più soltanto sotto il profilo formalista ma prevalentemente sotto l’aspetto contenutistico, culturale e iconografico.”, G. C. Sciolla, cit., p. 111.
8 C. Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma indiziario in A. Gargani (a cura di), “Crisi della ragione. Nuovi modelli nel rapporto tra sapere e attività umane”, Einaudi, Torino 1979, pp. 2-30.
9 M. Cardinali, Diagnostica artistica, Technical Studies, Technical Art History. Rinnovamento della connoisseurship o nuova Storia dell’Arte? in S. Albl, A. Aggujaro (a cura di), “Il metodo del conoscitore. Approcci, limiti, prospettive”, Ed. Artemide, Roma 2016, p. 179. Per “New Art History” si intende il vasto dibattito, legato ai Cultural Studies e formalizzatosi negli anni Ottanta in ambito anglosassone, volto alla revisione della narrazione storico-artistica tradizionale attraverso nuovi sguardi quali il crescente coinvolgimento dell'arte delle minoranze, il femminismo, il post-colonialismo, l'emergere delle micro-storie ecc.
10 G. Romano, Una lezione per aspiranti storici dell’arte in M. Scolaro, F.P. Teodoro (a cura di) “L’intelligenza della passione. Scritti per Andra Emiliani”, Minerva Editrice, San Giorgio di Piano (BO) 2001, pp. 489-496.
11 P. Bensi, Il crogiuolo del chimico e l’occhio del conoscitore. L’autenticazione delle opere d’arte: collaborazione e divergenze tra scienziati e storici nel XIX e XX secolo in “Vero e falso nelle opere d’arte e nei materiali storici…” cit., p. 94.
12 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Gallimard Parigi, 1945.
13 E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, Einaudi, Torino 2000, p. 93.
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