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Quando l'arte è dolce (ma non si mangia!)

Se seguite questo blog da un po’, avrete sicuramente capito che i materiali dell’arte possono essere commestibili, che siano alimenti o bevande.

Tuttavia, è capitato spesso che veri e propri preparati destinati al consumo alimentare siano diventati oggetto di collezione e, per la loro bellezza o importanza, considerati opere d’arte a tutti gli effetti, degne quindi di essere conservate nei musei. Solitamente sono i dolci ad essere elevati a rango di opere d’arte e, come tali, andranno monitorate e conservate nel tempo, per evitare il deterioramento di queste meraviglie o, addirittura, la loro perdita definitiva.

È questo il caso, solo per citarne alcuni, di due particolari tipologie di dolci oggetti: le maschere di zucchero messicane e i cioccolatini di lusso.

Le maschere di zucchero messicane sono ormai diventate l’emblema della festività del "Dia de los muertos", annoverata dal 2008 nell’elenco UNESCO dei beni culturali immateriali patrimonio dell’umanità. Queste piccole sculture di zucchero hanno la forma di teschi (calaveras), riccamente decorati con fiori e ornamenti colorati, e rappresentano solitamente i defunti della propria famiglia. In occasione della festa del 2 novembre, i dolci teschietti sono posti sugli altari (ofrendas, considerati come porte tra la vita e la morte) assieme ad altre pietanze tipiche. I calaveras sono stati considerati così importanti e pregni di significato da essere inseriti, nel 1986, all’interno della collezione del dipartimento di etnografia del British Museum di Londra.
Un esempio di calavera, tipico del Dia de los muertos.
Come si potrà chiaramente intuire, il problema della conservazione dei teschi messicani è proprio il componente principale delle sculture: lo zucchero. Infatti, nel tempo, i conservatori del museo londinese hanno notato l’imbrunimento e l’ingiallimento di alcune parti della glassa di cui sono composti i manufatti. Il saccarosio, costituente principale dello zucchero da cucina, è un disaccaride composto da due monosaccaridi: il fruttosio e il glucosio. Per realizzare l’impasto di zucchero secondo la ricetta messicana è prevista l’aggiunta di acqua, succo di limone e cremor tartaro, mentre per la glassa, oltre allo zucchero a velo, si utilizzano albume e colorante (secondo altre ricette, tra gli ingredienti troviamo anche succo di limone e la polvere di una radice locale).
Per capire come e perché questi ingredienti nel tempo provocassero l’alterazione e il degrado delle superfici di zucchero, gli scienziati hanno deciso di riprodurre in laboratorio le preparazioni di zucchero e sottoporle a diversi cicli di invecchiamento, attraverso variazioni continue di temperatura e umidità relativa. Dopo di che, i campioni originali e i provini sono stati analizzati mediante riflettanza diffusa (per la valutazione della variazione di colore), spettroscopia UV/Vis (per lo studio dei cromofori responsabili dell’imbrunimento dello zucchero), gascromatografia (per valutare la composizione dello zucchero dei teschi) e microscopia elettronica (utile allo studio della morfologia delle aree naturalmente degradate).
Studiando i campioni con un approccio multianalitico, gli scienziati hanno notato che lo scolorimento dei calaveras aumentava all’innalzarsi dell’umidità relativa e dell’acidità: dunque sembra essere importantissima la quantità di succo di limone aggiunta all’impasto iniziale ai fini della conservazione dei teschi. La variazione di questi valori è risultata essere responsabile anche dell’idrolisi del saccarosio. È stato possibile evidenziare che, microscopicamente, i granuli di zucchero delle aree ingiallite mostravano una fusione dei cristalli: una sorta di processo di vetrificazione.

Un esempio di piccole sculture in cioccolato, simili a normali attrezzi da lavoro.
La storia dei cioccolatini è leggermente diversa. In Inghilterra, durante l’epoca Vittoriana, non era insolito regalare scatole contenenti cioccolatini dalle forme più inusuali. Una di queste, conservata nel Baysgarth House Museum, conteneva cioccolatini a forma di strumenti per di carpenteria e portava il nome di “Little Carpenter” (piccolo carpentiere).
Il cacao con cui si produce il cioccolato deriva dalle fave dell’albero di cacao, sempreverde tipico di climi tropicali umidi. Amato e utilizzato già dalle popolazioni Maya e Aztechi per produrre la bevanda chiamata chocolatl, il prodotto della pianta di cacao iniziò ad essere trasformato in cioccolato solido durante la prima metà del XIX secolo, con l’invenzione della pressa per la spremitura della parte grassa dalle fave di cacao tostate: da qui l’ascesa degli innumerevoli prodotti liquidi, solidi, dolci e persino salati a base di cioccolato. Abbiamo sperimentato tutti quanto sia difficile conservare intatte le barrette di cioccolato d’estate: secondo le indicazioni dei produttori, il range di temperatura per la conservazione del cioccolato è 10-20°C.
Mantenere la temperatura di conservazione dei cioccolatini costante è fondamentale. Infatti, l’aumento della temperatura può causare la trasformazione dei cristalli di cacao, metastabili, da una forma all’altra: ciò oltre alla fusione del cioccolato, provoca la formazione di una patina biancastra sulla superficie, che rovina notevolmente l’estetica del manufatto. Allo stesso tempo, l’abbassamento della temperatura può infragilire il cioccolatino e permettere la condensazione dell’acqua ambientale sulla superficie, sotto forma di goccioline. Inoltre, non è da sottovalutare l’attacco biologico da parte di muffe e lieviti, soprattutto in ambienti ad elevata umidità relativa, e piccoli parassiti.
Come una classica scatola di cioccolatini, anche quella del Piccolo Carpentiere ha subito un degrado con molti degli effetti qui sopra descritti, quali graffi, patine biancastre, efflorescenza di grasso o di zucchero e piccole fratture (o rotture parziali dei piccoli strumenti).

Qual è la finalità di tutti questi studi e ricerche su materiali che sono, per definizione, estremamente deperibili ed effimeri?
Ovviamente, lo scopo è l’identificazione delle migliori condizioni di conservazione di queste piccole opere artigianali il più al lungo possibile! Per i piccoli teschi di zucchero, si è giunti alla conclusione che bassissimi valori di umidità relativa e bassa temperatura potrebbero allungarne la vita, come pure il controllo della quantità di luce a cui le sculture sono sottoposte ridurrebbe notevolmente il rischio di ingiallimento. Fondamentale è in tutti i casi il controllo continuo di tali parametri.
Per i cioccolatini, la temperatura ottimale di conservazione si attesta attorno ai 15°C, con un’umidità relativa del 50%. Questi parametri sono perfetti anche per la scatola originale di cartone in cui le piccole opere d’arte sono state conservate negli anni. Lo studio dei cioccolatini, in aggiunta, ha permesso di comprendere quali fossero le migliori procedure per la pulitura e il restauro degli stessi. Ad esempio, l’acqua non può essere utilizzata come solvente, poiché scioglierebbe lo zucchero nell’impasto alla base dei cioccolatini, mentre l’alcol andrebbe usato con cura per evitare la dissoluzione della parte grassa.




Bibliografia:

- H. Cox, "The deterioration and conservation of chocolate from museum collections." Studies in conservation 38.4 (1993): 217-223.
- V. Daniels and G. Lohneis, "Deterioration of sugar artifacts", Studies in conservation 42.1 (1997): 17-26.

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