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Nanotecnologie ante litteram: la coppa di Licurgo

Parlare di nanotecnologie antiche potrebbe lasciare stupiti; eppure, sarebbe più strano non considerare che le nostre conoscenze scientifiche attuali abbiano radici molto profonde.

Nell’articolo di oggi parleremo di un materiale fondamentale, indispensabile e versatile: il vetro. Esso è presente in ogni ambito della nostra vita, dalle stoviglie alle automobili, fino ai nostri smartphone. Tempo fa vi abbiamo brevemente illustrato cosa sia lo stato vetroso, concetto essenziale per comprendere perché questo sia un materiale davvero particolare, discutendo anche di come la lavorazione del vetro abbia raggiunto un livello tecnologicamente avanzato già nel corso del XXIII sec. a.C.

Ora, però, facciamo un salto indietro rispetto a quella data, catapultandoci attorno al IV secolo a.C., per avere una idea più precisa della produzione del vetro in antichità e di come esso sia relazionato alla nostra attuale conoscenza della nanoscienza. 

La produzione del vetro, in quel periodo, era già ben avviata e le maestranze sapevano produrre vetri di colore verde, blu, ma anche viola e arancione. La colorazione si otteneva aggiungendo al vetro fuso delle polveri metalliche e, in alcuni casi scarsamente documentati, persino scarti di lavorazione del bronzo.

La coppa di Ligurgo, conservata al British Museum.
(Copyright: British Museum
Tra il IV ed il V secolo a.C. gli artigiani romani si specializzarono ulteriormente in un particolare tipo di oggetto, la diatreta, ovvero una coppa di vetro finemente decorata. Abbiamo poco meno di un centinaio di esemplari nei musei di tutto il mondo, ma essi costituiscono una testimonianza di incredibile valore, poiché le diatrete erano oggetti molto preziosi e di proprietà delle classi più abbienti. Tra questi, la più famosa e interessante è, senza dubbio, la coppa di Licurgo: un esempio di maestrìa non solamente estetica, ma anche tecnologica.

Lasciando da parte le considerazioni squisitamente artistico-archeologiche, ci focalizzeremo sul colore della coppa. Come è possibile osservare dalla figura, quando essa è illuminata con luce riflessa, è di colore verde; quando la luce è trasmessa, essa appare di colore rosso. Questo aspetto ha subito interessato gli studiosi e già nel 1950 furono eseguite svariate analisi sull’oggetto (la coppa venne acquisita dal British Museum, dove è attualmente conservata).

Le analisi rilevarono che la composizione del vetro era abbastanza comune (di tipo silico-sodico-calcico), ma conteneva delle tracce di argento e oro (rispettivamente, 300 e 40 ppm). Quantità così basse di metallo, tuttavia, non potevano essere responsabili della variazione cromatica a seconda dell’incidenza della luce: il suo segreto doveva essere certamente celato in qualche altro aspetto della sua produzione. Secondo gli scienziati che analizzarono la coppa di Licurgo, il fattore determinante per questo effetto così particolare era dovuto alla formazione di cristalli o colloidi submicroscopici di metallo – argento e oro, per l’appunto –. Oggi sappiamo che le soluzioni colloidali possono dare effetti di scattering della luce con conseguente effetto dicroico. La fonderia romana, dunque, conosceva seppur empiricamente il comportamento delle soluzioni colloidali che oggi sono importanti nella nanotecnologia e utilizzate per gli scopi più disparati.

Dunque, i ricercatori hanno ipotizzato che i romani avessero trattato il vetro contenente le piccole particelle di oro e argento con degli agenti riducenti, ottenendo quindi un colloide. Le particelle di argento sarebbero le responsabili del colore verdastro, mentre quelle di oro del colore rosso. La padronanza tecnologica degli artigiani romani è riscontrabile nella profonda conoscenza dei diversi fattori che permettono, con questo tipo di procedimento, l’ottenimento di un colore piuttosto che un altro: concentrazione dei colloidi, diametro delle particelle, proporzioni e stato di ossidazione degli elementi, tempo e temperatura di cottura, nonché l’atmosfera stessa della fornace al momento della produzione. Questi sono parametri che un chimico dei giorni nostri può padroneggiare con facilità, ma in antichità poteva essere complicato controllare determinati fenomeni e quantità così basse di materiale. Questo fa comprendere l’eccezionalità della coppa di Licurgo e della sua produzione.

Le ipotesi circa la sua realizzazione e l’effetto dicroico sono state confermate da alcune analisi condotte sulla coppa. In particolare, i raggi X hanno dimostrato la presenta di particelle di lega argento-oro della dimensione di circa 50-100 nanometri. I Romani, sostanzialmente, erano già a conoscenza delle proprietà delle soluzioni colloidali e, in un certo qual modo, anche del contributo delle nanoparticelle aggiunte nel materiale. Naturalmente si parla di una conoscenza empirica, basata sull’esperienza degli artigiani. Ciò, però, non toglie che questa sia una testimonianza di un’avanzata tecnica di lavorazione – la coppa è raffinatissima nelle sue incisioni – ma soprattutto di una sorprendente conoscenza di quella che oggi chiameremmo “scienza dei materiali”.

Oltre ai link inseriti nel post di oggi, se volete continuare ad approfondire l’argomento e leggere di più a riguardo, vi consiglio di iniziare dal seguente articolo:

Buona lettura!

Francesca

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