La solfatazione del marmo
Il marmo è senz’altro il materiale lapideo più famoso, ineguagliabile dal punto di vista estetico e storico: basti pensare all’Acropoli di Atene o al tempio Taj Mahal.
Tuttavia, esso è soggetto ad un particolare tipo di degrado quando esposto in condizioni ambientali particolari, specialmente outdoor, dove il “sintomo” principale è la formazione di croste bianche e nere: a cosa sono dovute?
Particolare dalla facciata di Santa Maria del Fiore, Firenze |
Il termine “marmo” deriva dal greco μάρμαρον (mármaron) o μάρμαρος (mármaros) e significa "pietra splendente”. Si tratta di una roccia molto dura (ordine 3-4 della scala Mohs), insolubile in acqua, formatasi attraverso processi metamorfici.
Chimicamente la roccia è costituita dai seguenti minerali:
- Carbonato di calcio (CaCO3, nome mineralogico: calcite), che conferisce l’aspetto di candore e lucentezza. I famosi “marmi bianchi”, particolarmente apprezzati da Michelangelo Buonarroti, sono costituiti per il 99% da CaCO3;
- Carbonato di magnesio (MgCO3, nome mineralogico: magnesite);
- Carbonato di calcio e magnesio (CaCO3·MgCO3, nome mineralogico: dolomite).
Il marmo, però, è poco resistente agli agenti atmosferici. In particolare, non è immune all’attacco delle piogge acide.
Proviamo a comprenderne i meccanismi.
L’anidride solforosa (SO2) viene emessa in atmosfera. In sequenza, avvengono:
1) Ossidazione della SO2;
2 SO2 (g) + O2 (g) → 2 SO3 (g)
2) Formazione dell’agente degradante, ovvero l’acido solforico (H2SO4), responsabile insieme all’acido nitrico (HNO3) delle piogge acide;
SO3 (g) + H2O (g) → H2SO4 (l)
3) Reazione di solfatazione per azione delle piogge acide sul manufatto in marmo (CaCO3). Si tratta di una reazione acido-base: l’acido forte (H2SO4) sposta l’anione dell’acido debole (CO32-) dal suo sale (CaCO3), portando alla formazione di solfato di calcio.
(CaSO4)·H2SO4 (l) + H2O (l) + CaCO3 (s)—> CaSO4 + H2O (s) + CO2 (g)↑
A partire da questa reazione si verificano:
1) Un iniziale degrado di tipo chimico. La formazione di croste bianche è dovuta alla trasformazione del CaCO3 in CaSO4 idrato. Questo sale è circa mille volte più solubile rispetto alla calcite. Perciò, l’acqua piovana dilava il materiale degradato con un meccanismo di erosione più o meno rapido, a seconda del grado di umidità e porosità della roccia.
2) Un successivo degrado di tipo fisico, ovvero la formazione di patine nere. I cristalli di CaSO4 si formano e accrescendosi inglobano particelle carboniose del particolato atmosferico, responsabili della colorazione scura.
Ma non è tutto! Le croste nere potrebbero formarsi in quanto combinazione di più fattori. Infatti, in alcuni casi, processi di tipo chimico-fisico si verificano in concomitanza con fenomeni di “biodeterioramento”, dovuti all’azione da parte di licheni, funghi o altri microrganismi.
Pertanto, è importantissimo individuare i diversi tipi di degrado al fine di intervenire con i metodi più adeguati al tipo di problematica. In questo senso, il ruolo del diagnosta è fondamentale. Ad esempio, particolari tecniche analitiche [1] permettono la realizzazione di “profili di profondità” del materiale lapideo studiato. In questo modo, è possibile acquisire informazioni sui fenomeni in corso tramite indagini chimico-fisiche eseguite in situ e del tutto non invasive.
[1] P. Bison, F. Clarelli, and A. Vannozzi, Pulsed Thermography for Depth Profiling in Marble Sulfation, International Journal of Thermophysics 36.6 (2014): 1123-1130.
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