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New from diagnostic world: uno studio archeometrico sulle bottiglie di vino portoghesi


Ricordate quando abbiamo parlato di come sia possibile identificare la provenienza delle ossidiane, vetri vulcanici, sulla base degli elementi in traccia? Oggi presentiamo uno studio di provenienza su un’altra tipologia di vetro: si tratta di un’indagine archeometrica pioneristica su bottiglie di vino archeologiche datate tra la fine del XVII e il XIX secolo, trovate in Portogallo. Lo scopo della ricerca è quello di fornire nuove informazioni sulla provenienza e sugli scambi commerciali tra il Portogallo e i suoi alleati commerciali, come Isole britanniche, Belgio e Francia, in modo da capire se la produzione di bottiglie nel territorio portoghese fosse competitiva ai fini dell’esportazione del vino o se le bottiglie di vetro fossero importate dai principali centri di produzione dell'epoca.
La bottiglia di vino, così come la conosciamo oggi, è nata nella seconda metà del XVII secolo, cambiando nel corso degli anni e delle zone geografiche forma, spessore e colore del vetro, per la necessità di garantire una migliore conservazione del vino e facilitare il trasporto delle bevande. Le bottiglie di vino in questione sono state rinvenute in due contesti archeologici a Lisbona, presso il Teatro romano locale, scoperto per la prima volta nel 1798 durante la ricostruzione della città dopo il grande terremoto del 1755, e presso il sito archeologico di Rua do Arsenal.
Su base morfologica, le bottiglie possono essere suddivise in tre categorie: il tipo A che corrisponde alle bottiglie quadrate; il tipo B che comprende flaconi globulari o a forma di cipolla e il tipo C, il più numeroso, corrispondente alle bottiglie cilindriche. Le bottiglie quadrate sono sempre in vetro verde, con una tonalità verde oliva, mentre le bottiglie globulari e cilindriche presentano essenzialmente un vetro nero. 
Al fine di studiare la composizione chimica quantitativa reale del vetro, evitando risultati sfalsati dagli strati esterni di corrosione, sono state preparate sezioni lucide di frammenti di vetro, analizzati poi per mezzo della μ-PIXE (particle induced X-ray emission) per l’analisi degli elementi maggiori e minori e con la LA - ICP - MS (Laser Ablation – Inductively Coupled Plasma – Mass Spectrometry) per gli elementi in traccia e le terre rare (REE).
I risultati mostrano un vetro ad alto contenuto di CaO (> 20% in peso) e basso contenuto di alcali (K2O + Na2O < 10% in peso), caratteristico del vetro high‐lime, low‐alkali (HLLA), molto utilizzato per produrre vetri utilitari, come il vetro delle finestre, e caratterizzato da una forte colorazione verde dovuta all'alto contenuto di ferro. Questo tipo di vetro fu sviluppato in Germania e Francia per la produzione di bottiglie di vino durante il periodo tardo medievale utilizzando le ceneri degli alberi, in particolare, il rovere.
Per facilitare l'interpretazione dei dati e analizzare il contributo dei principali ossidi tutti insieme, piuttosto che due alla volta (come viene fatto con i grafici binari), è stato applicato un metodo chemiometrico (analisi dei componenti principali - PCA), che ha permesso di dividere i dati in quattro gruppi compositivi, confrontati, poi, con i dati presenti in letteratura. Tutti i campioni appartenenti al Gruppo 1 (nella maggior parte dei casi, composti da bottiglie di tipo C in vetro visivamente nero) hanno un modello molto simile e per ogni sottogruppo è stato possibile suggerire una relazione con il vetro prodotto nelle Isole britanniche. È noto, infatti, che a causa del Trattato di Methuen esistesse una grande relazione commerciale tra il Portogallo e le Isole britanniche, a tal punto che i produttori di vetro britannici andavano a lavorare in Portogallo portando con sé le loro ricette di vetro, oltre ad importare bottiglie.
Del Gruppo 2, formato principalmente da bottiglie di tipo A in vetro verde oliva, si possono identificare tre sottogruppi che differiscono principalmente per il loro contenuto in ossido di fosforo e cloro. Rispetto alle composizioni della letteratura, alcuni di questi frammenti si riferiscono a una serie di bottiglie trovate nel convento cistercense di Clairefontaine, in Belgio, tuttavia non attribuite a nessun luogo di produzione noto.
Le bottiglie appartenenti al Gruppo 3, invece, mostrano una composizione chimica degli elementi maggiori, minori e in traccia molto simile tra loro, suggerendo l'uso di materie prime dalla stessa fonte e anche dalle stesse ricette, riconducibili nuovamente alle bottiglie trovate a Clairefontaine, in Belgio. La somiglianza tra bottiglie di vino in diversi Paesi europei indica che la bottiglia di vetro era un articolo che veniva esportato periodicamente.
Il Gruppo 4, composto solo da due bottiglie risalenti al XIX secolo, mostra invece un forte cambiamento in termini di scelta delle materie prime per la produzione di vetro. La composizione chimica di queste bottiglie, infatti, suggerisce l'uso di soda sintetica, a causa del maggiore contenuto di soda e minori quantità di impurezze, come cloro, fosforo e ossidi di magnesio, mostrando una certa somiglianza con le composizioni del vetro inglese, belga e francese.
Per gli appassionati di scienza dei materiali e del buon vino, consigliamo la lettura dell’articolo originale, cliccando qui

 Martina

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