Porpora di Tiro: la chimica di uno status symbol
Sono pochi i coloranti ed i pigmenti che hanno segnato la storia dell’uomo, diventando simboli di un particolare status sociale: tra questi, sicuramente, vi è la porpora di Tiro, un colorante ottenuto con un processo macchinoso, costosissimo, ma che permetteva di ottenere una tonalità di rosso così particolare che nell’antica Roma era riservata alle tuniche di aristocratici e imperatori.
Fig.1. Il quadro “Morte di Cesare” di V. Camuccini (1806 circa) raffigura gli aristocratici e Cesare stesso con le toghe tinte di rosso porpora. |
Storicamente, si attribuisce ai Fenici la scoperta e la produzione della porpora, la cui varietà più pregiata prende il nome di Tiro (attualmente in Libano), una delle antiche città più ricche della fenicia. Il popolo fenicio controllò per lungo tempo il monopolio della porpora, tanto che il termine greco per indicare il rosso porpora, phòinix, è relazionato con il nome proprio dei Fenici, Phòinikes.
Questo colorante si otteneva dalla secrezione di una ghiandola di molluschi gasteropodi muricidi (Murex brandaris), i quali erano posti a macerazione in acqua salata per circa dieci giorni. I tini in cui avveniva la macerazione erano preferibilmente di piombo e non si esclude che anche questo contribuisse, in qualche modo, al risultato finale del colore. Da tale lavorazione ciò che si otteneva era un liquido giallognolo, che nulla aveva a che fare con il vivido porpora. Il viraggio al caratteristico rosso-viola avveniva solamente dopo l’esposizione al sole del liquido o del tessuto stesso impregnato della secrezione dei molluschi: il responsabile del colore giallo era il 6,6-dibromoleucoindaco, che modifica il suo chimismo dopo l’interazione con la luce, diventando 6,6’- dibromoindaco.
Data la sua origine animale, la porpora è caratterizzata da diversi composti, sebbene il 6,6’ dibromoindaco sia stato individuato come il maggior componente, nonché il principale responsabile del colore. Infatti, anche il 6-dibromoindaco e il 6,6’- dibromoindirubina contribuiscono alla chimica della porpora: la tonalità finale ottenuta dipendeva proprio dalla diversa combinazione e concentrazione dei cromogeni.
Fig.2. Sopra: molecola di indaco. Sotto: 6,6’-dibromoindaco |
È interessante notare che la porpora presenta una molecola molto simile a quella dell’indaco, altro colorante di origine tuttavia vegetale, che nulla ha a che fare con la porpora di Tiro ed il cui colore è un blu intenso, ma poco stabile alla luce. A differenza dell’indaco, però, la molecola della porpora presenta due atomi di bromo, determinanti per il differente chimismo e colore di queste due molecole apparentemente molto simili.
Le tuniche porporate, dunque, non erano tutte dello stesso identico colore: oggi siamo abituati a tonalità standardizzate, dovute alla produzione di massa di coloranti e pigmenti che si presentano pressoché tutti identici. Il colore finale di un vestito o una tunica romana, era influenzato da molti altri fattori, tra cui la durata e la quantità di esposizione al sole ed il procedimento di tintura dei vestiti. Il modo più semplice per tingere i vestiti era quello di immergere il tessuto nel bagno di colore – in questo caso il 6,6’-dibromoindaco– e favorire il fissaggio del colorante sulla stoffa tramite mordenzatura; un'altra modalità, invece, prevedeva la necessità di iniziare il processo di tintura con la porpora già ossidata al sole, riducendola in un bagno alcalino per ottenere la forma giallo/incolore “leuco” da applicare sul tessuto, il quale, esposto al sole, avrebbe raggiunto il colore desiderato. In questo ultimo caso, dunque, la reazione favorita dalla luce avveniva direttamente sulle fibre della tunica.
Vi sono diverse varietà di molluschi da cui in antichità si otteneva la porpora, sebbene quella di Tiro fosse la più amata e la più apprezzata in tutto il Mediterraneo. Non è difficile immaginare che le stoffe porporate avessero un costo spropositato: per la produzione di circa 1.5 grammi di polvere erano necessari almeno 12.000 molluschi e con tale quantitativo di Porpora si poteva tingere solamente una parte di tunica, dunque immaginiamo il costo stellare che poteva avere quella dell’Imperatore che era completamente tinta di Porpora di Tiro! Non mancavano, perciò, le falsificazioni a basso costo, con l’impiego di altri coloranti ben più economici come il chermes (anch’esso un colorante di origine animale, da Coccus ilicis, ma molto meno stabile e di un colore meno intenso).
Gli elevatissimi costi per l’ottenimento della porpora fecero lentamente cadere in disuso questo colorante; solamente Perkin, con il suo primo colorante sintetico – il color malva – si avvicinò al tanto amato color porpora. I segreti di Tiro, però, furono rivelati solamente nel 1909, quando Paul Friedländer, un chimico tedesco, scoprì finalmente il 6,6’-dibromoindaco, ovvero il responsabile del tanto bramato color porpora.
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