News from diagnostic world: Studio della corrosione e della manifattura di monete romane d’argento con FIB-FESEM ed EMPA
I Romani fabbricavano monete con un elevato contenuto di argento anche quando l’Impero era in forte crisi?
È questa la domanda principale a cui si è cercato di rispondere nell’articolo pubblicato nel luglio 2018 da Scientific Reports, rivista del gruppo Nature. Le monete d’argento, analizzate mediante un approccio multi-analitico, sono datate tra il 249 ed il 274 d.C., momento in cui Roma iniziava a perdere i domini fondamentali per l’approvvigionamento di materie prime e di metalli preziosi.
La moneta Antoniniana, voluta da Caracalla nel 214 d.C., inizialmente conteneva fino al 50% di argento nella lega (Ag-Cu) secondo le fonti storiche. La percentuale del metallo più nobile, nei secoli, si sarebbe ridotta fino al solo 5% durante il regno di Gallieno (206-268 d.C.), al culmine della crisi economica. In sostanza, i Romani avrebbero prodotto monete con una percentuale molto bassa d’argento per fronteggiare le ingenti spese militari.
Le analisi svolte su 19 monete Antoniniane di zecca ed età differenti hanno, tuttavia, mostrato un’altra realtà: una manifattura di qualità ed un contenuto di argento importante in tutti i campioni analizzati.
La FIB-FESEM-EDS (focused ion beam-field emission scanning electron microscopy-X-ray microanalysis) utilizzata su tutti i campioni, ha permesso di studiare la struttura della patina nei primi dieci micron di spessore. Questa tecnica è stata impiegata su tutti i campioni, poiché essa è considerata nano-distruttiva: infatti, il materiale asportato dal fascio FIB di ioni gallio, per creare la “trincea” di studio, è dell’ordine dei nanogrammi. La FIB-FESEM-EDS, come si può dedurre dal nome, permette di ottenere anche una analisi semi-quantitativa degli elementi presenti nella sezione di analisi, dando una visione generale, ma completa, della composizione e della microstruttura della patina superficiale. Per esempio, nell’articolo è riportato un possibile primo approccio all’uso dell’amalgama (lega Hg-Ag) da parte dei Romani: l’amalgama era utile per argentare una superficie metallica. Tuttavia, secondo le fonti, l’uso della amalgama è ufficialmente sperimentato e impiegato diversi anni dopo la circolazione della denominazione Antoniniana.
I dati FIB sono stati integrati con uno studio delle sezioni lucide, utilizzando sia immagini BSE (back scattered electrons), mappe ai raggi-X sia i dati quantitativi ottenuti dall’EMPA (electron microprobe analysis). Le immagini BSE e le mappe a raggi-X evidenziano la distribuzione degli elementi principali nel cuore del campione di lega Ag-Cu, nonché la corrosione a carico del rame e il successivo degrado della patina superficiale. I dati EMPA, integrando i precedenti, dimostrano una significativa presenza di argento persino nelle zone più interne della lega stessa, mettendo dunque in dubbio che i Romani producessero monete di scarsa qualità durante i periodi di crisi economica.
Nel materiale supplementare dell’articolo, disponibile Open Access (qui) si possono consultare anche i dati ottenuti dalle analisi Raman e di Voltammetria di Microparticelle eseguite sulla patina delle monete.
Buona lettura!
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