Film&art: Van Gogh - sulla soglia dell’eternità
Immagini vibranti, primi piani magnetici, uso della soggettiva: i veri protagonisti di ogni scena del film sono gli occhi di van Gogh, interpretato magistralmente da Willem Dafoe. Per 1 ora e 51 minuti Julian Schnabel riesce, grazie ad un uso sapientissimo delle immagini (non a caso, è un pittore anche lui!), a dare voce alla Natura con i suoi immensi e assolati paesaggi provenzali, così come parlava a van Gogh, in quel linguaggio completamente incompreso all’epoca; siamo alla fine degli anni ’80 del 1800, quando il pittore si trasferisce ad Arles.
Tutta la visione dell’arte e della pittura di van Gogh si esprime nei dialoghi con il collega Gauguin e con il prete che dovrà decidere se farlo uscire o meno dal nosocomio. Le pennellate per van Gogh devono essere veloci, in rilievo, ondeggianti e folli come la sua idea del mondo, che da materia prima, come l’argilla, assume una forma e prende vita nelle mani del pittore, che la libera e la interpreta a suo piacimento. Questo è il talento di Vincent, un uomo fragile, vittima di visioni e disturbi mentali che lo portano all’isolamento, all’insuccesso e perfino a commettere l’atto scellerato di tagliarsi un orecchio. Eppure, la follia di Vincent, mostrata con amara dolcezza, diventa un dono per l’umanità, una chiave in grado di aprire gli occhi, donar conforto allo spettatore e di influenzare le correnti pittoriche a venire.
“Esiste una fase per la semina e una per il raccolto”, dice Vincent, sapendo già che non sarebbe spettato a lui il compito di raccogliere i frutti della sua semina, quasi come se, per errore, fosse nato in un momento sbagliato per la sua arte.
Ancora una volta viene messa in risalto la funzione salvifica della pittura, che è per Van Gogh l’unico modo per non pensare, per dare un senso alla sua vita, trattenendolo persino dalla paura e dall’ossessione di uccidere.
Martina
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