L'affresco
“Quando vuoi lavorare in muro (ch’è ’l più dolce e il più vago lavorare che sia),
prima abbi calcina e sabbione, tamigiata bene l’una e l’altra...”
Cennino Cennini – Il libro dell’arte, Cap. LXVII
Il buon fresco, come si intuisce dalla citazione del pittore Cennini, rappresenta una delle tecniche pittoriche più rinomate ed apprezzate della storia dell’arte. Un termine iconico: è difatti impossibile non collegare questa parola a grandi capolavori come, ad esempio, le opere racchiuse nella Cappella Sistina o il ciclo pittorico che adorna la Cappella degli Scrovegni.
Per apprendere questa tecnica, i pittori venivano formati fin da piccoli nelle botteghe dei maestri: dalla macinazione dei pigmenti alla preparazione dell’intonaco, tutto veniva realizzato in prima persona dall’artista, il quale diventava padrone di un bagaglio di gestualità e tecnologie che avrebbe a sua volta tramandato ai propri allievi. È proprio grazie a Il libro dell’arte di Cennino Cennini, il primo trattato scritto in lingua volgare, che possiamo scoprire nel dettaglio questa ed altre tecniche pittoriche, conoscendo ed apprezzando il livello tecnologico degli artisti della seconda metà del XIV secolo.
L’elemento fondante della tecnica dell’affresco è la calce. Si tratta di un materiale adoperato fin da tempi antichissimi, in particolar modo per la realizzazione di edifici, che si ottiene dalla cottura di rocce calcaree. Difatti, prima di poter adoperare l’intonaco vero e proprio, la calce deve attraversare una serie di processi di trasformazione che, insieme, prendono il nome di ciclo della calce (Fig. 1), il quale si basa sul fenomeno della carbonatazione e che può essere riassunto con la seguente formula:
Il processo di trasformazione della calce può essere così riepilogato: le rocce calcaree (chimicamente CaCO3), poste a temperature tra i 900 e i 1100 °C, si trasformano in ossido di calcio (CaO), meglio noto come calce viva per la sua causticità, con liberazione di anidride carbonica (CO2). La reazione che avviene, dunque, è la seguente:
CaCO3 (900 < T < 1100 °C) → CaO + CO2↑
Per poter utilizzare la calce, è necessario prima di tutto “spegnerla”: di fatto, l’ossido di calcio viene idratato con acqua (H2O), per cui dalla reazione, qui riportata, si ha un’ulteriore trasformazione del materiale in calce spenta o idrata (Ca(OH)2).
CaO + H2O → Ca(OH)2
Lo spegnimento della calce viene condotto attraverso due diverse metodologie: per innaffiamento, eseguito fornendo poca acqua per volta alla calce e mescolandola fino alla completa dissoluzione della stessa nell’acqua, e per immersione, inabissandola completamente per poi porla su una superficie asciutta a riposare finché non si riduca in polvere. Quindi, in base alla quantità di acqua e alla tecnologia impiegata, si ottiene una differente qualità di calce, che può essere più pastosa come nel primo caso (detta grassello), diluita o completamente asciutta (rispettivamente latte di calce, polvere di calce). Questo materiale poi viene miscelato con una carica che, dopo la carbonatazione della calce, rappresenterà lo scheletro vero e proprio del materiale. Le cariche sono costituite solitamente da sabbia di fiume, polvere di marmo, pozzolana o da prodotti di natura animale o vegetale. Questi devono essere inerti, ovvero non debbono reagire a contatto con la materia che le circonda: è da evitare la presenza nella muratura e nell’affresco stesso di sali solubili (cloruri, nitrati e solfati) che, per la loro natura igroscopica, sono i maggiori responsabili del degrado di qualsiasi superficie muraria.
Fig. 2: Le fasi dell'affresco. (Credit: Storie d'arte) |
Dopo aver ottenuto la calce, è possibile cominciare a realizzare l’affresco. Su un supporto, costituito nella maggior parte dei casi da un muro in mattoni o in pietra, debitamente livellato con una malta grossolana chiamata rinzaffo, viene steso un primo strato di intonaco che prende il nome di arriccio, formato da una malta per lo più a base di un inerte di media granulometria e di grassello, tendenzialmente in proporzioni 3:1 o 2:1 (ovvero 3 o 2 parti di inerte ed 1 di calce). È sull’arriccio che viene poi steso l’intonaco fresco o tonachino, costituito da un inerte di granulometria fine e da calce in proporzione 2:1, che fungerà da base per il colore (Fig. 2). Le stesure del tonachino, quindi, andavano ben calibrate dall’artista: difatti, prima di cominciare a lavorare, egli eseguiva sull’arriccio un disegno preparatorio mediante le tecniche della sinopia, dello spolvero e dell’incisione diretta o indiretta (Fig. 3).
Dopo aver riportato l’immagine sull’intonaco, l’artista decideva se procedere secondo la tecnica a pontate o a giornate: la prima prevedeva l’applicazione dell’intonachino seguendo l’andamento del ponteggio, ovvero per fasce orizzontali e dall’alto verso il basso, la seconda suddivideva l’opera in “giornate di lavoro”, cioè in forme e dimensioni che potevano variare a seconda dell’abilità dell’artista e che, tendenzialmente, seguivano i contorni dei personaggi o dei paesaggi ritratti nell’opera. Non è raro che venissero adoperate entrambe le tecniche in un medesimo affresco. La necessità di dividere il lavoro in fasi è dovuta al precedentemente citato processo di carbonatazione: difatti, è possibile lavorare sul materiale fresco per circa tre ore, dopo di che, in presenza dell’anidride carbonica (CO2) naturalmente contenuta nell’aria, si ha la formazione di carbonato di calcio (CaCO3) e di acqua (H2O), come illustrato dalla seguente reazione:
Ca(OH)2 + CO2 → CaCO3 + H2O
Quindi, solo dopo la stesura dell’intonachino l’opera cominciava a prendere forma: finalmente il colore, stemperato in acqua, veniva posto sull’intonaco fresco, il quale lo inglobava e lo trasformava in qualcosa di molto simile ad una pietra colorata. È per questo motivo che l’affresco costituisce una fra le più durevoli tecniche pittoriche mai eseguite.
Il colore adoperato negli affreschi era principalmente costituito da pigmenti di origine minerale, chimicamente stabili e compatibili con la calce: è difatti possibile trovare ossidi, idrossidi e silicati di elementi quali ferro (ocre), alluminio (terra verde) e manganese (terre), pietre preziose come il lapislazzuli, ma anche alcuni coloranti di origine organica, quali l’indaco e il nero vite. Completamente sconsigliati per una serie di instabilità ed incompatibilità chimiche sono i pigmenti a base di solfuri, come il cinabro (HgS) o il realgar (As4S4), di metalli pesanti come la biacca ((PbCO3)2 · Pb(OH)2) o di carbonati basici come l’azzurrite (2CuCO3 · Cu(OH)2), la quale tende a trasformarsi in malachite (CuCO3 · Cu(OH)2) in ambiente umido, comportando un viraggio cromatico dall’azzurro al verde. L’unico modo per poter inserire in un affresco questi pigmenti era aggiungerli con ritocchi a secco, i quali, però, risultano meno durevoli rispetto all’affresco vero e proprio.
- Cennino Cennini, Il libro dell’arte:
- Francesca Bertini, Affresco e pittura murale, tecnica e materiali, Polistampa editore, 2011: https://www.amazon.it/Affresco-pittura-murale-Tecnica-materiali/dp/8859609100
- Steffi Roettgen, Affreschi italiani del Rinascimento tra Quattrocento e Cinquecento, Panini Editore, 2000: https://www.amazon.it/Affreschi-italiani-del-Rinascimento-Tra/dp/8882901106
l'arte del buon fresco ... ;)
RispondiEliminapareva a Bramante et altri emuli di Michelagnolo di ritrarlo dalla scoltura, ove lo vedeva perfetto, e metterlo in disperazione, pensando, col farlo dipignere, che dovessi fare, per non avere sperimento ne' colori a fresco, opera men lodata, e che dovessi riuscire da meno che Raffaello: e caso pure che e' riuscissi il farlo, el facessi sdegnare per ogni modo col Papa, dove ne avessi a seguire, o nell'uno modo o nell'altro, l'intento loro di levarselo dinanzi.
Brava Tizy <3