Degrado della carta: inchiostro ferrogallico
Il patrimonio librario e archivistico, prodotto tra il Medio Evo e la metà dell’800, risente nella conservazione di un importante fattore di degrado estrinseco, ovvero l’acidità dell’inchiostro.
In periodo medievale, a causa della carente prestazione del nerofumo (di cui abbiamo parlato qui), furono studiate ulteriori miscele che portarono successivamente, nel 1100 d.C., allo sviluppo dell’inchiostro nero ferrogallico (figura 1).
Figura 1 - Perforazioni causate dall'inchiostro ferrogallico su carta di metà Ottocento (Copedé M. (1991) La carta e il suo degrado. Nardini editore, p.147). |
Questo inchiostro, denominato anche ferrogallotannico e al gallotannato di ferro, era ottenuto da vetriolo (solfato ferroso – FeSO4 · 7H2O), noci di galla (escrescenze vegetali contenenti tannini come l’acido gallico), un legante (gomma arabica o miele) ed un solvente (acqua, vino o aceto). Conosciuto già in epoca romana, nella Naturalis Historia Plinio il Vecchio (23 d.C. – 79 d.C.) racconta di aver bagnato un papiro impregnato di tannino con una soluzione di sali di ferro, ottenendo l’annerimento del supporto. Successivamente, nel 420 d.C., Marziano Minneo Felice Capella fornisce le dosi della miscela chiamandola “gallarum gummeosque commixtio”, confermandone gli ingredienti di base.
La realizzazione dell’inchiostro ferrogallico prevedeva la seguente procedura (figura 2). I tannini estratti dalle noci di galla sono fatti reagire con il vetriolo; l’acido gallico e il solfato ferroso, formano gallato ferroso (incolore), H3O+e SO42-. Il gallato ferroso, a contatto con l’ossigeno, produce molecole d’acqua e pirogallato ferrico, un complesso ottaedrico nero insolubile in acqua, il vero e proprio pigmento dell’inchiostro.
Si otteneva così una polvere nera, che veniva dispersa ad esempio in vino e gomma arabica. Quest’ultima impediva al pigmento di precipitare sul fondo del recipiente, donava una giusta viscosità e potere adesivo al supporto.
La presenza di acido solforico in soluzione, che rende questo inchiostro acido, provoca, tuttavia, notevoli danni alla carta, come l’imbrunimento diffuso attorno alla scritta, osservabile sia sul recto che sul verso della pagina. Inoltre, questi effetti sono dovuti all’eccesso di ioni ferrosi che innescano le reazioni di idrolisi e di ossidazione della cellulosa.
L’ossidazione porta alla formazione di ossido ferrico, provocando lo sbiadimento del nero originario, poiché l’ossido è meno scuro del pirogallato ferrico. Un’ulteriore conseguenza determinata dagli ioni ferrosi è la perforazione del supporto scrittorio, poiché tali ioni sono capaci di catalizzare di una reazione a catena in cui un radicale ·OH rompe i legami della cellulosa causando la fragilità del foglio. A loro volta, la reazione tra i radicali R· della cellulosa porta all’aumento dei legami trasversali, rendendo la carta più friabile e secca.
Lo sviluppo di questa miscela fu necessario per la realizzazione di un inchiostro indelebile, più duraturo e meno sensibile agli agenti esterni. Tuttavia, come possiamo riscontrare da fonti storiche, ad esempio nel De atramentis cuiuscumque generis (1619) del veneziano Pietro Canepario, la combinazione tra gli ingredienti sopra descritti (gomma arabica, solfato ferroso, galle ed acqua) permetteva l’ottenimento di un materiale pericoloso per la sua elevata acidità.
Nonostante i danni provocati al supporto, l’importanza di questo inchiostro risiede nell’essere relativamente indelebile, grazie alla profonda penetrazione nelle fibre della carta, che ha permesso di tramandare testi scritti secoli fa.
Emanuele
Per realizzare un’esperienza di laboratorio sulla produzione di inchiostri ferrogallici si consiglia la lettura della relazione esposta al seguente link.
Bibliografia
Kolar J., Stolfa A., Strlic M. et al. (2006) Historical iron gall ink containing documents — Properties affecting their condition. Analytica Chimica Acta, 555 (1): 167-174
Rouchon-Quillet V., Remazeilles C., Bernard J. et al. (2004) The impact of gallic acid on iron gall ink corrosion. Applied Physics A, 79 (2): 389-392
Ruggiero D. (2004) Gli inchiostri ferrogallici negli archivi e nelle biblioteche. Documento online qui
Commenti
Posta un commento