La datazione al radiocarbonio e il marine reservoir effect
L'immagine mostra la condizione di equilibrio che si instaura alla superficie di un corpo idrico e i movimenti e fenomeni che lo interessano negli strati più profondi. Fonte: Wikipedia |
Tutti voi avrete sentito parlare almeno una volta della datazione al radiocarbonio, una delle tecniche più utilizzate per la cui invenzione Willard Frank Libby vinse il Premio Nobel per la chimica nel 1960. Non starò dunque qui a soffermarmi sui principi di applicazione, che passeremo in rassegna brevemente, bensì su uno degli effetti che ogni diagnosta o archeologo deve ben tenere in considerazione nell’interpretazione dei risultati: il marine reservoir effect.
La datazione al radiocarbonio si basa sul principio per cui il carbonio organico negli esseri viventi è in costante equilibrio con quello atmosferico. In atmosfera, l’isotopo radioattivo del carbonio 14C è presente in basse concentrazioni rispetto agli altri due isotopi stabili, e con diverse velocità di frazionamento viene convertito in carbonio organico attraverso la fotosintesi. Le piante vengono consumate dai consumatori primari (erbivori) o secondari (onnivori) e i consumatori secondari e terziari (carnivori) a loro volta si nutrono dei primari (...o secondari, o terziari), procedendo così lungo la catena trofica. Alla morte, ogni meccanismo di scambio si interrompe e il 14C nell’organismo continuerà a decadere (decadimento beta in 14N) fino al suo completo esaurimento. Il decadimento avviene a velocità costante nel tempo e questo permette a chi interessato di determinare il tempo trascorso dalla morte dell’organismo. Ovviamente, questa scoperta ebbe un’enorme risonanza in archeologia, dove la datazione assoluta di un contesto archeologico o di un singolo materiale diventa talvolta un’informazione di primaria importanza. Eppure, non subito ci si rese conto di una variabile fondamentale che portava spesso a non poche incongruità. Un esempio? Negli anni ‘80 dello scorso secolo, un team dell’Università di Bristol fu impegnato nello scavo di una fossa comune nel Derbyshire dalla quale furono recuperate anche delle monete. Questa importante scoperta portò alla preliminare attribuzione dei circa trecento individui come ai soldati vichinghi de “La grande armata danese”, morti durante l’importante battaglia del 873-74 d.C., la quale portò all’esilio del re della Mercia. Ad ogni modo, le datazioni al radiocarbonio delle ossa indicavano date più antiche per molti degli individui, anche di due secoli. La questione rimase in sospeso e solamente ora si è arrivati ad una conclusione: non era stato valutato il marine reservoir effect. Il nome di questo effetto fa riferimento al “serbatoio” di carbonio tipico dei bacini idrici, più marcato negli oceani e nei mari. In questi ambienti, infatti, il carbonio radioattivo vi entra attraverso i normali scambi di equilibrio tra l’atmosfera e la superficie d’acqua ma, una volta nel nuovo ambiente, i meccanismi di mescolamento tra acque superficiali e profonde sono molto più lenti rispetto ai movimenti atmosferici. Questo non ferma certamente il decadimento del carbonio, così che all’aumentare della profondità marina, nello stesso momento, arriva sempre meno 14C e quello già presente sarà già decaduto. Gli organismi che vivono in questi ambienti avranno, di conseguenza, immagazzinato molto meno carbonio radioattivo rispetto a quelli terrestri e risulteranno quindi alla morte “più antichi” degli stessi, se datati col metodo del radiocarbonio. Questo effetto non è uniforme, ma varia sia dal punto di vista geografico che temporale: per questi motivi, in base al materiale che si vuole datare, bisognerà apportare la correzione per l’effetto marino più opportuna.
Ecco qui svelato il mistero dei vichinghi del Derbyshire: gli archeologi non avevano considerato che alcuni di loro avevano solamente mangiato molto (e altri meno) pesce.
Questa è solo una delle numerose variabili da tenere in considerazione quando ci si affida alla datazione al radiocarbonio (tra gli altri: effetti geofisici, del clima, antropici, dell’emisfero, del vulcanesimo, delle acque dure, ecc...) ma sicuramente una delle più interessanti. Alla prossima, con qualche caso studio interessante!
Silvia
Bibliografia
Ascough, P., Cook, G., & Dugmore, A. (2005). Methodological approaches to determining the marine radiocarbon reservoir effect. Progress in Physical Geography, 29(4), 532-547.
Jarman, C. L., Biddle, M., Higham, T., & Ramsey, C. B. (2018). The Viking Great Army in England: new dates from the Repton charnel. Antiquity, 92(361), 183-199.
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